Piazza Medaglie d’Oro cade a pezzi
I giardinetti non esistono più
Cartoni ovunque tra cocci, bottiglie e rimasugli di pasti
Una volta qui erano tutte pompe di benzina. Altro che campagna. Ora non si sa bene cosa sia: un’oasi devastata, un monumento all’amministratore ignoto, un’installazione artistica incomprensibile. Qualcuno si ostina a chiamarli “giardinetti”, non senza una discreta dose di cinismo. Intorno gira Piazza Medaglie d’Oro, la grande rotonda del Vomero. Una centrifuga di lamiere che stringe al centro questo non-luogo abbandonato al degrado.
Il contesto – centrale, elegante, benestante – ne peggiora per contrasto la fatiscenza gratuita.
Puzza. Sì, puzza tutto. Di un tanfo che si appiccica addosso, e che fatichi a capire da dove arrivi. C’è una fontanella annegata nella spazzatura, ricoperta di una patina di ruggine rancida. Il cartello dice “buona da bere”, anche in inglese: “good to drink”. Nelle intenzioni, qui, sarebbe dovuto passare anche qualche turista. Ora, in pieno mattino, ci sono due signore che lasciano correre i cani in un campetto polveroso recintato apposta, e un clochard che sta minuziosamente setacciando il raccolto: mette da parte i metalli, materiale di poco valore, il resto lo rigetta dietro i cespugli.
Quanta dedizione ci vuole per cercare di occultare il packaging di un televisore gigante all’interno di una siepe cresciuta senza geometria? E soprattutto: quanta noncuranza occorre per lasciarlo lì a tempo indeterminato? Questa “indifferenziata” tradisce l’indifferenza del cittadino più di qualsiasi retorica dell’indignazione.
Il playground ha perso un canestro, sull’altro resta appeso uno strappo della retina che fu. Al tabellone c’è l’etichetta della Fondazione Silvia Ruotolo, che campeggia esausta pure sui cartelli impalati tra le sterpaglie. Il Comune aveva appaltato la cura delle aiuole all’associazione, ma l’affidamento è scaduto da più di un anno, la trafila del rinnovo è lunga come solo le carte napoletane sanno tirarla, e il risultato è questo: la memoria della vittima innocente della camorra, madre dell’assessore comunale Alessandra Clemente, presta il nome a un’indecenza istituzionalizzata. In attesa della nuova intesa la manutenzione spetterebbe al Comune, e c’è poco da aggiungere: in questo caso il “colpevole” è uno, e non c’è molto da far denuncia. Bastano le foto.
È una sensazione straniante, pare di visitare il set di un film post-apocalittico. Mentre a pochi metri il vortice del traffico s’attorciglia nella confusione, nel mezzo questo buco pieno di tracce di umanità sporca non dà segni di vita. Morto nel cuore di un “quartiere-bene” che adora farsi del male.
Qui dove hanno posto la prima pietra della metro collinare nel 1977 è come se l’indifferenza avesse scavato un buco, e i cespugli l’avessero poi protetto dalla vergogna comune. I giardinetti di Piazza Medaglie d’Oro non esistono più, sono stati rimoss i dalla memoria. Sono invisibili, finché uno non si ferma a guardare.
Ed è una cosa istruttiva, e distruttiva insieme. I contenitori della spazzatura sono sparsi a caso, vandalizzati dai giochi notturni dei ragazzi di passaggio. Un serpentone metallico divelto ricorda che prima c’erano delle barriere, per evitare che i motorini tagliassero la piazza per il centro. Mentre i campi di bocce, che nell’accezione sociale del progetto avrebbero dovuto accogliere gli anziani giocatori, si infilano nelle aiuole spelacchiate come corridoi solitari: non c’è nessuno, chissà da quanto. Ma almeno sono sgombri dai rifiuti, e le scope a bordocampo un significato ce l’avranno pure. All’ombra di uno degli alberi non potati qualcuno ha lasciato tre sedie di plastica con i giornali a coprire le sedute, e un tavolino giallo dei Minions.
I gradoni della “piazzetta” che un architetto deve avere immaginato come luogo di incontro e aggregazione sono ricoperti di frattaglie di plastica e vetro, regalando il senso dell’inutilizzo ormai cronico. Dietro, all’ombra, c’è un enorme tabellone decadente per la pubblicità, con il simbolo della Città di Napoli. I cartoni sono un po’ ovunque, tra i cocci delle bottiglie di birra, i rimasugli di troppi pasti consumati di fretta e i bisogni dei cani. Su uno c’è scritto “io odio i funerali, amo la vita, perché non c’è niente oltre”. Sono i letti che ammorbidiscono le notti dei senzatetto e lì restano al risveglio. Sono la coperta posticcia che alimenta una bruttura sedimentata giorno dopo giorno. Mentre nisciun’ se ne importa, e ognuno aspetta ‘a ciorta. Faceva così, no, il contraltare dei mille colori?
Mario Piccirillo
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