Orti urbani: recupero di aree dismesse e socializzazione
Quello degli orti urbani è un fenomeno tutt’altro che recente, risalente addirittura al XIX secolo. Vincenzo Rusciano, Dottore di Ricerca in Economia Quantitativa ed Eurolinguaggi per la Sostenibilità del Benessere presso l’Università “Parthenope”, spiega come essi si siano diffusi in Italia durante la guerra per ragioni di emergenza, affrontando un declino nel periodo del boom economico, per poi riacquistare vigore a partire dagli anni ’80.
Negli altri paesi il fenomeno è cresciuto esponenzialmente negli ultimi tempi, in particolare sulla costa occidentale degli Stati Uniti e in Canada, paese da sempre attentissimo alle tematiche ambientali. Non è caso che abbiano trovato largo spazio in letteratura, specialmente nei romanzi di Margaret Atwood: in The Year of Flood (2009), ad esempio, i God’s Gardeners (i Giardinieri di Dio) trasformano i tetti dei palazzi in rovina di un distopico futuro in vere e proprie oasi, in cui dedicarsi all’agricoltura e all’apicoltura.
«L’idea alla base degli orti urbani – spiega Rusciano – è proprio quella di recuperare aree dismesse, ponendosi altresì come strumento di aggregazione sociale». Non solo sostenibilità, ma anche integrazione, motivo per cui Napoli ha seguito Torino, Milano e le altre grandi città del mondo, dotandosi di orti urbani: da Chiaiano a Posillipo passando per via San Domenico, tali iniziative si moltiplicano, raggiungendo un pubblico sempre più vasto.
A tal proposito, abbiamo incontrato anche Andrea Testa, utente dell’orto urbano di via Sant’Ignazio da Loyola, il quale ci ha spiegato come il terreno sia gestito da un vivaio che, trovandosi con dello spazio inutilizzato, lo ha lottizzato ed affidato ai cittadini. Testa, che ha iniziato la sua “doppia vita” da agricoltore quattro anni fa assieme a due cugini e che la continua oggi assieme alla sorella, mette l’accento su come, all’interno della variopinta comunità si sia creato una sorta di «mutuo soccorso, sia come scambio di informazioni, idee e pareri; sia dal punto di vista lavorativo, intervenendo nei casi urgenti in cui gli altri agricoltori non sono presenti», senza contare la soddisfazione di «consumare il frutto di ore di lavoro».
Amore per l’aria aperta, attenzione per ciò che c’è nel piatto, ma anche punto di incontro e socializzazione: questo, e altro ancora, sono gli orti urbani. Non resta che sperare che altri terreni del territorio collinare si inseriscano – e proprio il caso di dirlo! – nel solco tracciato da queste esperienze.
Gabriele Basile
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