“Nica e la radice del cedro”: una favola contemporanea dalle mille sfumature
Mario Ascione, professore di italiano presso la scuola vomerese di Maria Ausiliatrice, ci svela il significato profondo del suo libro, e ci guida alla scoperta dei reali insegnamenti di cui si fa portavoce quello che è il suo primo romanzo.
Parlaci del libro.
‘Nica e la radice del cedro’ appartiene al genere di favola contemporanea poichè la protagonista è un’adolescente perfettamente inserita nella realtà tecnologica, e come molti della sua età è in piena ‘crisi di comunicazione’, specie nel rapporto con i suoi genitori, spesso assenti e lontani. La sua vita cambia quando si reca a Fiuggi per trascorrere le vacanze, e lì incontra Nonna Lalla, una conoscente della sua vera nonna. Lalla la guiderà nel viaggio di iniziazione che porterà Nica a scoprire la ‘radice’ della vita, il significato profondo delle cose, rappresentato simbolicamente da uno scrigno vuoto che lei trova alle radici di un albero di cedro.
Nica, la protagonista, è solo una 15enne. Non è troppo giovane per approdare già al senso della vita?
Apparentemente il romanzo rischia di non essere realistico esattamente per questo motivo, ma è proprio nella giovane età di Nica che è racchiuso il senso della sua scoperta. Lo scrigno vuoto simboleggia il potenziale che Nica ha davanti a sé, lo spazio del possibile. È in questo senso che il vuoto
assume
un
significato
positivo:
un
luogo
che
aspetta
di
essere
riempito, che si può ancora abitare. Una scoperta simile è straordinaria solo per una giovane ragazza che ha davanti a sé la vita intera, per cui il suo è un punto di partenza piuttosto che un epilogo.
E’ chiaro che questo è un romanzo ricco di simbologie.
Esattamente, già dal titolo: Nica è il diminutivo di Domenica, che, come si sa, è il giorno della Resurrezione, quello in cui si realizza la pienezza della vita. Inoltre ho scelto proprio il cedro poiché è l’albero sacro alla tradizione biblica ebraica, dato che la forma del suo frutto ricorda quella del cuore umano: Nica arriva, appunto, alla ‘radice’ del suo cuore. Anche il nome Lalla ha un significato, poiché si ricollega alla lallazione, e cioè i primi suoni che un neonato emette per comunicare. Il suo personaggio rappresenta, così, un ritorno alle origini della comunicazione, quella del cuore.
Cosa significa per te scrivere?
Scrivere per me equivale ad un atto di restituzione. Ciascuno di noi è portatore di un bagaglio educativo ed emozionale che ci forma ed arricchisce, donatoci da qualcuno che ci ha molto amato, e il nostro compito è quello di trasmetterlo a nostra volta, affinché altri lo ereditino. Questo qualcuno è stato per me mia madre, e questo libro nasce come una sorta di rielaborazione del lutto in seguito alla sua scomparsa, avvenuta un mese prima della stesura del romanzo. In esso, tuttavia, la sua figura è tutt’altro che dominante: è piuttosto un’eco che aleggia tra le pagine del libro, e rivive nel rapporto instauratosi fra Nica e Nonna Lalla. Scrivere, tuttavia, richiede molto coraggio, poiché equivale a mettersi a nudo, consegnando la propria intimità al lettore. Bisogna perciò sapere accettare le critiche e le incomprensioni che ne potrebbero seguire.
Quanto ha influito l’esperienza dell’insegnamento nella stesura del romanzo?
Moltissimo. Dai miei alunni ho tratto molta ispirazione, e mi sono reso conto che la crisi educativa non riguarda il ragazzo, ma l’adulto. I giovani hanno bisogno di guide carismatiche che sappiano orientarli verso le loro naturali inclinazioni, e soprattutto cercano affetto e non beni materiali dai propri genitori, con i quali rischiano spesso di cadere in una crisi relazionale, così come accade a Nica. Amo insegnare, anche se il mio sogno più grande è vivere di scrittura. Ho già pubblicato delle raccolte poetiche, e sto lavorando ad un progetto molto delicato: raccogliere gli scritti lasciati da un malato di SLA in un libro che si intitolerà ‘Non abbiate paura della tenerezza’, che riprende una celebre frase di papa Francesco, con prefazione di Gennaro Matino.
A cura di Rita Sparano
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