Massimo Stanzione, il genio del Seicento
C’era una volta il Vomero, odoroso di giardini e popolato di villini postliberty. Pochi gli abitanti e, soprattutto, rare le auto. Poi, a mano a mano, al loro posto sono sorti una serie di palazzi che hanno dato un nuovo volto a un quartiere che rimane comunque bello. Per fortuna qualche esempio dei bei villini di una volta si può ancora ammirare. È il caso di villa Rosita, l’unica attrazione della strada che confina con quella dedicata a Massimo Stanzione.
Nato nel 1585 resta incerto il luogo: Orta di Atella o Frattamaggiore?
Anche la sua formazione lascia non pochi dubbi.
Ha avuto i maestri Fabrizio Santafede e Battistello Caracciolo? È assai probabile.
Invece i biografi sono concordi nell’affermare che soggiornò per oltre un decennio a Roma dove approfondì i suoi studi.
Un cursus che lo avvicinò sempre più verso una pittura eclettica, che può considerarsi una sintesi dei grandi maestri dell’epoca quali Caravaggio, Guido Reni, Artemisia Gentileschi, Simone Vouet.
La prima fase pittorica e abbastanza documentata di Stanzione si riferisce a un’ indagine sul ritratto, sulle scene profane e immagini mitologiche .
La sua personalità pittorica verrà fuori tra il 1620 e il 1630, decennio durante il quale fa la spola tra Napoli e Roma. I dipinti di questo periodo sono la “Pietà” della Galleria Corsini di Roma, il “Martirio di Sant’Agata”, a Capodimonte, “l’Adorazione dei pastori” a San Martino, e “Il sacrificio di Mosè” ancora a Capodimonte.
Particolarmente significativo l’incontro, a Roma, nel 1630, con Artemisia Gentileschi. Dal quale nacque un vero e proprio sodalizio, fatto di frequentazione e di idee, ma anche di una fattiva collaborazione che diede vita a opere quali “La Predica di San Patroba “, nel duomo di Pozzuoli, e la “Nascita di San Giovanni Battista” per il re Filippo IV nel palazzo del Buen Retiro a Madrid.
Camilla Mazzella
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