Luisa Sanfelice al Museo di San Martino
Nella tela di Capocci il dramma della donna
“Luisa Sanfelice condotta in carcere” un quadro di Eurisio Capocci, un’artista napoletano di accesi sentimenti liberali, poco conosciuto, ma autore di opere significative di rievocazione e celebrazione del Risorgimento italiano. La tela, attualmente conservata al museo di San Martino, è un’opera di grande valore estetico, per la sua capacità espressiva, nella quale l’autore ha saputo immortalare l’insopportabile sofferenza della povera Luisa Sanfelice. Un dramma di una lacerazione profonda, espresso nell’esile figura della donna, che, condotta in carcere, viene portata quasi in braccio dalla guardia, tanto è il dolore per un’ingiusta accusa. Una tela che è non solo un’opera d’arte, con i suoi chiari- oscuri, per la perfetta stilizzazione dei personaggi, per l’espressività dei volti partecipi al dramma della donna, ma anche una testimonianza storico e culturale di grande valore.
Un’opera che regala momenti di commozione profonda, trasferendo il pensiero a quei drammatici giorni del 1799, a quell’umanità sofferente dominata dall’ingiustizia e alla ricerca di una pace tanto agognata, fatta di libertà, fraternità e di uguaglianza.
La sfortunata Luisa Sanfelice, contesa e corteggiata da uomini sia repubblicani che realisti, diventa, nel 1799, un’eroina per amore, per aver salvato la vita al repubblicano Ferdinando Ferri, l’uomo che, incurante di questo suo atto d’amore, svelerà il complotto borbonico al governo della Repubblica.
Luisa, una donna indipendente da ogni opinione di governo e da ogni spirito di partito, sarà una martire involontaria, un’eroina per caso. Ignara ed innocente, colpevole per aver dato voce alla generosità del suo cuore, abbandonata al suo destino, salirà sulla forca l’11 settembre del 1800, vittima dell’odio e della violenza.
Luisa non è morta, è morto il suo corpo, ma lei continua a vagare da un’epoca all’altra, inquieta e reclamando giustizia. Mi sembra di vederla, nella sua figura slanciata, con i suoi occhi grandi e con la sua chioma nera, sciolta in riccioli sulle spalle, aggirarsi ansimante per piazzale San Martino e tra i luoghi sacri di quel patriottismo napoletano, Castel Sant’Elmo e la Certosa di San Martino e poi scendere verso il mare per le scale della Pedamentina.
Le ossa di Luisa Sanfelice giacciono nella cripta del Carmine Maggiore, tra i resti degli altri martiri, cui i frati della chiesa hanno sempre dedicato il loro ricordo e la loro preghiera.
Luisa è lì, non può più parlare, ma il suo fantasma è presente nell’immaginario degli intellettuali, che l’hanno resa eterna celebrandola nella letteratura, nel teatro, nel cinema e nell’arte.
Ersilia Di Palo
Commenti
No Banner to display
“Ponte di via S. Giacomo dei Capri: i soldi ci sono”
Aldo Masullo riceve la cittadinanza onoraria
Napoli Comics chiude i fumetti perdono la casa
Dai principi di Santobono all’Ospedale pediatrico
La moda al Vomero indossa il nastro rosa in favore dell’ Airc.