Lucia Migliaccio, l’ultimo amore del Re Ferdinando I di Borbone
“Mia cara e buona Lucia“, così Ferdinando I di Borbone era solito chiamare la sua seconda moglie, la siciliana Lucia Migliaccio, la duchessa di Floridia, vedova di Benedetto Grifeo, principe di Partanna . Le sue forme snelle e leggiadre, nonostante le numerose gravidanze, e i suoi occhi neri particolarmente affascinanti avevano ispirato scrittori e poeti del tempo. Michele Palmieri di Miccichè nel descrivere la bellezza di Lucia Migliaccio scrive: “nessuno poteva vantare gli occhi meravigliosi di Lucia, di un fascino classico e vellutato, occhi … neri come il giavazzo, e in cui la grazia, il sentimento e la voluttà apparivano fusi armoniosamente, con sguardi che facevano vibrare le fibre più intime e giungevano al midollo delle ossa”. Quegli occhi neri meravigliosi colpirono anche Giovanni Meli, poeta siciliano, suo contemporaneo, che compose i versi della famosa ode, “Ucchiuzzi niuri”.
Wolfang Goethe, che aveva ammirato la bella donna nel fulgore della sua prorompente bellezza di diciassettenne principessa a Palermo nel 1787, tradusse in tedesco i versi di Meli nella sua celebre lirica “Sizilianisches Lied” (“Canto siciliano”), in cui si parla della fascinosa malia dello sguardo di Lucia Migliaccio.
Furono quegli occhi neri a suscitare desideri e passioni in Ferdinando, di fronte ai quali il suo cuore veniva ogni volta rapito.
Ferdinando aveva conosciuto la duchessa di Floridia in Sicilia, nel corso del suo primo e forzoso soggiorno (tra il 1799 e il 1801), ne approfondì la conoscenza qualche anno più tardi, nel suo secondo esilio, durato nove anni, in seguito all’invasione francese del Regno di Napoli. A contatto con la nobiltà siciliana, al sovrano non fu difficile accorgersi della bellissima moglie del nobile siciliano, Benedetto Grifeo, elevato a nobiluomo di corte di sua maestà.
Un amore intenso che si era consolidato negli anni e che Ferdinando viveva come un miracolo siciliano, una magia, giunto negli ultimi anni della sua vita a regalargli un soffio di umanità .
Così, non appena libero dalla tirannica presenza della regina Maria Carolina d’Asburgo Lorena, morta a Vienna l’8 settembre del 1814, Ferdinando IV, trascorsi appena 80 giorni, non rispettando i mesi di lutto stabiliti, il 27 novembre del 1814, si univa in matrimonio con la bella e avvenente Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia, anch’essa vedova dal 1812 e già sua amante ; a suggerirlo, come dice lo storiografo Michele Palmieri di Miccichè, la data di nascita dell’ultimogenita della duchessa, Marianna, nata nel 1808, in pieno corso della relazione tra i due, e per la quale il re nutrì sempre un profondissimo affetto.
Il matrimonio fu celebrato a Palermo nella Cappella Palatina, in forma strettamente privata, alla sola presenza dei testimoni Vincenzo e Carlo de Falco. Fu un matrimonio morganatico: Lucia riceveva “ l’onore del talamo e la primazia fra tutte le dame suddite, ma non l’onore del trono (Mendolia ,op.cit); diventava pertanto vera moglie di Ferdinando I di Borbone, ma senza titolo di Regina, che avrebbe comportato il diritto di successione al trono per i propri figli . (Mendolia op. cit.)
Non mancarono i contrasti con Francesco, il futuro successore al trono del Re Ferdinando, che non perdeva occasione di ricordare al padre certe chiacchiere sui presunti trascorsi della duchessa. Il Re gli rispondeva in dialetto, come era solito parlare: “ Penza ‘a mammeta, guagliò, penza ’a mammeta!” Alludendo ai conclamati trascorsi di Maria Carolina.
Lucia Migliaccio aveva 43 anni, quasi venti meno del Re Ferdinando, ma come consorte fu l’opposto della predecessora Maria Carolina, autoritaria e opprimente questa, docile e conciliante Lucia. Fu per il sovrano una ventata di libertà, una svolta decisiva da quel tipo di politica intrigante e soffocante a cui aveva tentato di incatenarlo, ma senza riuscirvi, l’inflessibile prima moglie austriaca. Finì per il re l’incubo di quell’acre gelosia, di quei perpetui sospetti, di quella importuna ingerenza negli affari di Stato. Contemplandosi nella ritrovata fanciullezza, il Re amava ripetere: “Che bella cosa ! – Ho una moglie che mi lascia fare quello che voglio e un ministro che non mi lascia niente da fare”.
Il Re che amava intensamente la sua giovane sposa, appena tornato a Napoli nel 1815, avendo riguadagnato il trono, le intestò un sontuoso palazzo nel cuore della vecchia Napoli, che da allora si chiamò Palazzo Partanna, e un grande complesso al Vomero denominato “La Floridiana”, distinto in “Villa Lucia” e “Villa Floridiana”, corredato anche da una specie di zoo con animali esotici, compresi leoni, tigri e una coppia di canguri, frutto di uno scambio con l’Inghilterra, costato ben diciotto papiri ercolanesi non ancora svolti.. Lucia riceve da Ferdinando doni cospicui, fra questi un diamante abbastanza grande, ( il sacerdote Mendolia nelle sue memorie riferisce che “ era della grandezza di una fava“), da far pensare ad uno scherzo. Lucia apprende, con somma meraviglia, trattarsi del dono che Ferdinando aveva ricevuto dalla suocera Maria Teresa d’Austria, madre di Maria Carolina, come regalo di nozze. In altra occasione, (riferisce sempre il Mendolia), nel giorno di santa Lucia, per festeggiare l’onomastico della moglie, Ferdinando le fa trovare nel suo appartamento un grande braciere d’argento con cenere e fuoco costituito da dobloni d’oro di Spagna. Pur non godendo del titolo di Regina, Lucia segue il marito nei suoi spostamenti diplomatici: a Lubiana, a Firenze, a Roma e in tante altre capitali di Regni. La Baronessa Du Montet, che aveva conosciuto nel 1822 la duchessa Lucia a Vienna, in occasione di un incontro dei rappresentanti della Santa Alleanza, nei suoi “Souvenirs” scrive: “…mostra un infinito tatto nelle sue relazioni in pubblico con il Re e la famiglia imperiale, non essendo mai né al di sopra né al di sotto della dignità di donna del Re, senza titolo di Regina“ Michele Palmieri di Miccichè, che frequentò per un periodo la corte di Napoli riferisce: “La duchessa di Floridia apportò al trono lo stesso gusto per la prodigalità e i divertimenti, di cui essa aveva preso l’ abitudine; e non si occupò assolutamente di affari di Stato, con grande riconoscenza dei ministri napoletani.”…. «Il suo buon cuore è indiscutibile”. Il saggista e studioso Salvo Piccolo sottolinea che : “ La nuova regina si era data il solo obiettivo di assicurare un degno futuro alla sua numerosa prole avuta da Benedetto Grifeo e fu considerata sempre un’intrusa per i figli del re, più di tutti per il primogenito Francesco, che la disdegnò apertamente”. Per tutelarla anche dopo morto, Ferdinando IV fu costretto a far firmare al figlio Francesco un documento in cui questi si impegnava a mantenerle lo stesso tenore di vita fino alla fine dei suoi giorni. Ferdinando consegnò alla moglie il prezioso scritto che donna Lucia serbò gelosamente chiuso in una busta e sulla quale, di sua mano, scrisse: “Carta di Somma Importanza”. La morte colse il Re Ferdinando la mattina del 4 gennaio 1825. Il dolore per la morte del consorte, unitamente alle scenate violente con il marchese Ruffo a causa dei lasciti personali fatti dal re, fiaccarono il fisico di Lucia , che dopo meno di 14 mesi dalla morte di Ferdinando, si spense in Napoli il 26 aprile 1826, a 56 anni, nell’ammezzato a destra del palazzo Partanna a Chiaia, dove era andata ad abitare dopo la morte del Re. I funerali furono solennemente celebrati nella chiesa di San Ferdinando, dove fu sepolta per espressa disposizione lasciata dal Re Ferdinando. Assistettero a quella funzione parecchi ministri napoletani e gran parte dei ministri esteri, dame e gentiluomini di corte e i parenti suoi più stretti. Mancava Francesco I, che non si fece nemmeno rappresentare da nessun altro membro della famiglia reale, voleva dimostrare pubblicamente i veri sentimenti che nutriva per la duchessa e che non aveva mai potuto estrinsecare liberamente. Lucia riposa in pace in San Ferdinando nel transetto a sinistra ed un monumento marmoreo di Tito Angelini la ricorda a tutti quelli che oggi entrano in questo luogo santo. Regina senza corona, donna gentile, con dignità, con compostezza e con decoro, nella sua vita seppe mostrarsi degna dell’alto posto che la sorte benigna le aveva serbato.
ERSILIA DI PALO
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