L’opera di Luigi Mazzella dedicata a Ennio Tomai
Nello scorso dicembre è stata collocata a Piazza Fuga una scultura in bronzo di Luigi Mazzella, mio fratello. Per cui mi astengo – benché pittore, e quindi con qualche confidenza con l’arte – da esprimere qualsiasi giudizio. Mi preme invece chiarire il motivo ispiratore dell’opera, dedicata all’artista Ennio Tomai, che ha operato per una vita nello studio di Villa Haas, dove oggi lavora Luigi. Fra i due c’è stato un lungo e profondo legame (Tomai, professore di Metalli all’Istituto d’Arte Palizzi, ha avuto Luigi suo allievo),reso più saldo dalla quotidiana frequenza e dal fatto che Tomai non avesse figli. Un sodalizio magico, durato circa trentanni, all’insegna della profonda ammirazione che mio fratello nutriva per il suo maestro. D’altra parte, Tomai aveva tutti i titoli per esercitare una forte suggestione. Nativo dell’Aquila, aveva vissuto a Odessa e si era accreditato come esperto di arte presso la corte degli zar a San Pietroburgo. Eccellente fotografo, in un’epoca in cui le macchine erano ancora a fuoco fisso, ospitava nello studio una folla di uccelli in libertà, per poterne studiare gli atteggiamenti e le posture più naturali, da trasferire poi nelle sue opere. La fotografia lo avvicina ben presto al cinema, che proprio in quegli anni, nasceva al Vomero, ad opera della Lombardo Film, con sede nell’ultimo palazzo di via Cimarosa, come ricorda una lapide. E per il cinema, Tomai ha realizzato non solo straordinari manifesti, ma sceneggiature e scenografie, oltre a concedersi anche ruoli da interprete. Ce n’è abbastanza perché agli occhi di Luigi, il maestro diventasse un mito. E questo spiega i sentimenti di ammirazione e di gratitudine che hanno spinto mio fratello a onorare la sua memoria. L’opera infatti rappresenta in una felice sintesi tutti e due. Tomai con i suoi uccelli, e Luigi con le tensioni informali, ispirate all’energia insita nella materia. Ma c’è un’amara considerazione che mi preme fare. E l’avanzo al di là di ogni tentazione polemica. E quindi non con l’occhio del fratello, ma di chi nato e vissuto a Napoli e ne conosce l’indifferenza e la distrazione (a voler essere generosi). L’inaugurazione dell’opera ha visto una larga partecipazione di pubblico (sono intervenuti l’Assessore alla Cultura Nino Daniele, il Presidente della Municipalità Vomero e il Capogruppo consiliare Mario Coppeto), ma nessun artista. E ancora peggio nessuna istituzione culturale, dal Pan al Madre, ai due Istituti d’Arte, all’Accademia. Per non parlare del silenzio assordante della stampa. Un’assenza, anche questa, che non mi ha sorpreso, ma che ancora una volta m’induce a riflettere sulle sorti che la città riserva da sempre all’arte. Forse avevano ragione sia Eduardo che Raffaello Causa. Da Napoli bisogna andar via. Ma mio fratello – come tanti altri – ha preferito operare qui, piuttosto che abbandonare il campo. Che dire? All’antico adagio del tempo galantuomo, mi viene da aggiungere che anche in questo caso spetta “ai posteri l’ardua sentenza”.
Elio Mazzella
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