Libri, bis di Gennaro Morra
Dopo il suo romanzo d’esordio, “All’Ombra della grande fabbrica”, Gennaro Morra torna a scuotere la coscienza dei suoi lettori con una nuova impresa letteraria, dimostrando come la poesia possa rivelarsi, ieri come oggi, un potente strumento di protesta civile. “I versi della carrozzella” strizza l’occhio, nel titolo, al celebre romanzo e all’omonimo film, che narra la vicenda umana di Che Guevara, prima che diventi il martire rivoluzionario consegnato alla storia e alla memoria dei posteri. Parimenti Gennaro Morra, scrittore affetto da tetraparesi spastica, fa i conti senza falsi moralismi e, con coraggio, con i propri mostri: li sfida e ne esce. Noi del Vomero Magazine lo abbiamo incontrato per farci raccontare della sua nuova avventura letteraria.
“I versi della carrozzella” come “I diari della motocicletta” parla di un viaggio, un viaggio in versi nel tuo universo.
“Questa raccolta di poesie è una sorta di diario in versi, un viaggio negli ultimi vent’anni di vita. Ne viene fuori una visione del modo un po’ diversa, diretta conseguenza della mia condizione di disabilità, che mi costringe a vivere quasi tutto il tempo su una sedia a rotelle. Passione, ironia, rabbia e amore costruiscono la cornice portante su cui poggia la mia tela poetica. In essa sarà possibile scoprire sfumature nuove, oppure realizzare che certi sentimenti sono vissuti alla stessa maniera, anche se non si ha l’anima imprigionata in un corpo che non obbedisce come dovrebbe ai comandi del cervello”.
Pubblicare un libro di poesie in un periodo in cui si legge sempre meno è stata una scelta coraggiosa. Qual è stata la molla che ti ha spinto a pubblicare i versi della carrozzella?
“Dico spesso che questo è un libro a richiesta, nel senso che io ho sempre pubblicato le poesie che scrivevo sulle bacheche dei vari social network e gli amici mi consigliavano di non “sprecarle” in quel modo, di raccoglierle in un libro, di mandarle ai concorsi. Allora ho iniziato a partecipare ai premi letterari e l’anno scorso ne ho vinti due: uno di poesie e l’altro di narrativa. Mi sono convinto che era tempo di dar vita a una raccolta che comprendesse le migliori tra le circa cento poesie che avevo accumulato in una cartella del pc ed ecco com’è nato “I versi della carrozzella”.
Sei un autore che ha scelto la formula del self-publishing e della vendita diretta tramite web che, a quanto pare, ha superato la barriera della rete entrando anche in punti di vendita che si trovano in città. Avevi previsto questo salto, questo traguardo?
“Il self-publishing è la nuova frontiera dell’editoria, da non confondere con la pubblicazione a pagamento (quello è tutt’altro e non è la strada giusta da seguire, secondo me). Nel self-publishing l’autore diventa a tutti gli effetti un imprenditore e, oltre alla scrittura, deve curare anche la fase di stampa, promozione e vendita del suo libro. Una sfida avvincente che può affrontare solo se ha studiato un po’ la materia. In rete si trovano supporti e mezzi per imparare e con un minimo di investimento puoi auto-pubblicarti un buon libro e riesci anche a fare una discreta promozione. Oggi sono convinto che, se non riesci a farti pubblicare da uno dei colossi dell’editoria italiana, è meglio fare tutto da soli. È stancante, ma molto più divertente e stimolante”.
Dalla tua poesia traspare rabbia, passione ma anche tanta ironia con la quale riesci a dire cose scomode. E’ una dote naturale oppure è la tua arma per alzare la voce convinto che la fantasia e una risata siano il mezzo più potente per fare la rivoluzione?
“È una dote naturale, ma anche un’arma, più che altro di difesa. Ho 43 anni e da tempo ho smesso di credere alla rivoluzione. Piuttosto, mi sembra che, in questi tempi bui, si debba puntare prima a non prenderle, per usare una metafora pugilistica. L’ironia serve a non soccombere, a difendersi dai continui attacchi di chi sta trasformando questo mondo in una giungla elettronica dove a sopravvivere sono i più forti. Se osi sostenere che gli immigrati vanno accolti, se ti schieri contro la pena di morte o la giustizia fai-da-te, ti danno del “buonista” in un’accezione che è diventata dispregiativa. Oggi vanno di moda i violenti, gli aggressivi, quelli che si trincerano dietro i muri e fanno la guerra. Con questi soggetti è inutile ingaggiare una battaglia, si può solo disarmarli ridendogli in faccia”.
Ci sono dei bellissimi versi dedicati a Napoli. Raccontaci del rapporto con la tua città.
“È contraddittorio e problematico, come del resto lo è quello con le donne. Spesso Napoli mi fa arrabbiare, ma mi basta un giro al centro storico in una giornata di sole e in me ritorna il sereno. Succede lo stesso con le donne: basta una carezza per dimenticare tutti gli amari calici che mi hanno fatto bere in precedenza. E poi, a Napoli come alle donne riconosco di avermi cresciuto, bene direi. Se sono l’uomo che sono, lo devo a loro e non avrò mai un sentimento ostile nei loro riguardi. C’è un legame viscerale, una specie di cordone ombelicale che mi tiene attaccato alla città e alle donne”.
Una città come Napoli non aiuta chi ha problemi motori, qual è la cosa che ti infastidisce di più delle istituzioni e dei cittadini stessi sull’argomento?
“L’indifferenza, la strafottenza, ma anche quelle sono contraddittorie. Voglio dire che magari, se giri per la città e cerchi di entrare in un posto inaccessibile con la carrozzella, trovi tanta gente disposta ad aiutarti. Poi, però, parcheggiano sui posti assegnati ai disabili, davanti agli scivoli per salire e scendere dai marciapiedi e cose così. Quanto alle istituzioni, hanno così tanti problemi da risolvere, che i nostri non fanno testo. Noi siamo pochi e non abbiamo nessun potere socio-economico. Al massimo possiamo minacciare di lasciarci morire, ma gli faremmo un favore: loro ci vedono come un costo, non come una risorsa”.
MANUELA RAGUCCI
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