L’editoriale – Ciò che siamo e ciò che temiamo
Nessuna etichetta, nessuna regola da seguire, nessuna cosa da fare per forza. Io sono io. E sono felice. Come lo sono i bambini che seguono sempre il loro istinto, che se vogliono una cosa se la prendono e basta, che fanno sempre quello che vogliono. Finché gli adulti non iniziano a condizionarli con frasi costruite tipo “non fare questo” o “bisogna essere così..”, “questo è giusto, questo è sbagliato”. Oggi penso che la felicità è riscoprire se stessi liberandosi dai condizionamenti che ci vengono messi addosso dalla società come un’armatura che ci protegge si, ma che ci rende meno liberi di muoverci come vogliamo e di essere ciò che siamo. Seguite la vostra voce interiore. Siate semplicemente quello che siete. In ogni occasione. Non sprecate il vostro tempo ad essere ciò che non siete. Un concetto che cerco sempre di ribadire ma che non mi stancherò mai di ripetere perché in giro vedo troppe persone che sprecano tempo o che indossano maschere che poi rovinano le espressioni di gioia dei loro volti. E poi perché vedo tante persone che, ancora oggi, continuano a parlare con tono razzista di qualcuno, di qualche popolo, di qualche etnia o cultura diversa. L’altro ci spaventa sempre, ancora oggi. Nel 2015. Eppure gli episodi di cronaca dovrebbero insegnarci che non importa il colore della pelle o da quale religione o cultura provieni, che non si può essere etichettati solo per questo, che non ci sono i “buoni” e i “cattivi”.
Un esempio ed uno spunto di riflessione ci vengono dati dalla strage avvenuta il 9 aprile nel Palazzo di Giustizia di Milano. L’uomo che ha sparato nel tribunale milanese aveva un abito, giacca e pantalone con una camicia. Girava in Mercedes e sembrava un uomo “distinto”. E’ passato inosservato all’ingresso del tribunale tanto da eludere i controlli. Però noi abbiamo paura dei jeans strappati, dei burqa e delle kefie. Se avesse avuto questi abiti addosso sarebbe entrato armato oppure sarebbe stato perquisito?
Dieci anni fa, a Napoli, per il mio lavoro di autore de “Le Iene” realizzai un servizio con delle microcamere dimostrando che per entrare in tribunale senza essere controllati bastava essere in giacca e cravatta. Ovvero vestiti come gli avvocati, e quindi entrando come loro senza passare dal metal detector. Dopo che il servizio andò in onda in una puntata de “Le Iene”, grazie all’intervento dell’allora ministro della Giustizia, Clemente Mastella, nel tribunale di Napoli la situazione cambiò e la sicurezza ed i controlli furono rafforzati a tutti gli ingressi della struttura del Centro direzionale. A Milano invece, fino al 9 aprile, si continuava a far entrate quelli “vestiti bene” sulla fiducia. Perché in Italia l’abito fa il monaco.
Alessandro Migliaccio – l’editoriale
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