Le lavandaie a via Annella di Massimo
“Jesce sole, jesce sole, nun te fa cchiù suspirà, siente maje che li’ figliole hanno tanto da prià”. Sono le parole della prima canzone napoletana della storia, la cui melodia, ancora oggi, incanta e rapisce gli appassionati, trasportandoli in quel lontano mondo delle lavandaie del Vomero del 1200. Le lavandaie, una sorta di lavatrici umane, dopo aver raccolto i panni sporchi dei signorotti del luogo, si portavano al torrente, dove, a forza di olio di gomito, di strofinate e di battute dei panni su pietre, stendevano la biancheria tersa sull’erba ad asciugare. “Iesce sole, jesce sole”, è un’invocazione al sole perché asciugasse rapidamente il bucato, un’invocazione simile ad una preghiera pagana intrisa di speranza e di buona sorte, cantata dalle prosperose lavandaie del Vomero, che sembra abitassero al casale di Antignano e precisamente in via Annella di Massimo. In questa strada è ancora visibile una corte di case, probabilmente abitate fino al 1800 dalle lavandaie, che si recavano ai lavatori pubblici posti in vico Acitillo, come riportato dalla mappa del Duca di Noja e menzionato come “strada del Moncibello”.
Le lavandaie, nell’immaginario collettivo, erano persone felici, che cantavano allegre filastrocche, mentre lavoravano. “Jesce sole” è la prima canzone napoletana della storia che ci sia pervenuta essendo il breve testo menzionato in un codice di verseggiatori del Quattrocento, conservato nel museo di Parigi. Tesi confermata anche da Ettore De Mura che ha pubblicato il testo nella sua monumentale Enciclopedia della canzone napoletana del 1968. “Jesce sole, iesce sole” e il “Canto delle lavandaie del Vomero” sono i primi documenti in lingua napoletana e hanno segnato l’alba della canzone in lingua napoletana. La loro nascita, si ritiene, sia avvenuta in concomitanza con la nascita dei vari dialetti intorno al 1200.
Il canto delle lavandaie del Vomero: “Tu m’aje prummise quatte muccatora,oje muccatora, oje muccatora! Tu m’aje prummise quatte muccatora oje muccatora, oje muccatora! Io so’ benuto se, io so’ benuto se me lo vuo’ dare, me lo vuo’ dare!”, secondo alcuni storici è un canto di protesta nato proprio nella zona di Antignano.
I quattro “muccatora” sarebbero da intendere come appezzamenti di terreni, promessi dal signore del luogo, ma mai assegnati ai contadini.
Un testo che, si ritiene, sia diventato un simbolo di protesta contro Alfonso d’Aragona, per la mancata ridistribuzione delle terre promesse.
Tesi non condivisa da Roberto De Simone, il quale afferma che il canto, risalente tra il XII e il XIII secolo, era intonato dalle lavandaie del Vomero per dare ritmo al loro duro lavoro quotidiano e che il Vomero era la zona di provenienza delle lavandaie e non del lavaggio, non essendoci, tranne alcuni torrenti all’Arenella, corsi d’acqua dove le lavandaie potevano svolgere il loro lavoro.
Significativa è anche la testimonianza di Giovanni Boccaccio che, essendo vissuto a Napoli tra il 1327 e il 1340, in una sua lettera, ci parla di come questi canti lo avessero dolcemente impressionato per la bellezza della loro melodia.
Ersilia Di Palo
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