LA PARLESIA
Sin dal 1221, il linguaggio della “parlesia” è stata tramandata da poeti e menestrelli sotto forma di cantate che con modesti strumenti musicali allietavano antiche e nobili mense.
Con le piedigrotte, suonatori e posteggiatori ne hanno determinato una larga diffusione attraverso le “postegge”, luoghi deputati ad ospitare suonatori e cantanti, trattorie e salotti, con le auliche “villanelle”.
Famosi interpreti del genere, i “posteggiatori”, dai compunti e seriosi atteggiamenti, furono Schottler, Marmorino, Jovino “’o piattaro”, “Ciccio ‘o conte”, Di Francesco “’o zingariello”, Silvio “’o cecato”, Lucia “’a Madunnella”, Bedullà “Manella d’oro”, i Vezza, ed ultimo cantore dell’antica tradizione, Massimo Ranieri.
Questi, per intendersi tra di loro, in sorta di linguaggio segreto, inventarono, la “parlesia”, la parlata, appunto, come “rasto”-piattino, “bagaro”-cattivo, “pila”-paga, “toto”-buono, “jammosa”-bella donna,”loffia”-bassa, “bacono”-stupido, “toche-toche”-tette, “appunisce”- te piace, “tale e quale”-specchio, “tuorne”- restituito, “accamoffa”-ascolta, ecc. Tempo addietro fu stampata anche una modesta raccolta, quale specie di dizionario, oggi introvabile, lasciando la superstite trasmissione orale che, purtroppo, la crudeltà del tempo, cancella, ma che conserva, tuttavia, attraverso i rari sopravvissuti, il suo misterioso fascino.
di Mimmo Piscopo pittore
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