“La legalità nelle scuole nel segno di Giancarlo”
Intervista a Paolo Siani, fratello del giornalista
ucciso dalla camorra il 23 settembre del 1985:
“In trenta anni Napoli ha fatto molti passi avanti”
Trenta anni dopo è giusto ricordare affinché quanto accaduto non si abbia mai più a ripetere. Trenta anni dopo i ricordi di quei drammatici momenti, in cui apprese dell’omicidio del fratello, sono ancora nitidi. Trenta anni dopo la memoria di Giancarlo Siani vive nelle attività e nella testimonianza del fratello Paolo. “Dopo la morte di mio fratello il mio impegno è stato rivolto a diffondere il valore della legalità nelle scuole, affinché tra i ragazzi si radicasse una nuova coscienza civile”. In questa intervista a Vomero Magazine Paolo Siani ricorda la figura del fratello Giancarlo, giornalista ucciso barbaramente dalla camorra il 23 settembre del 1985 in piazza Leonardo, nei pressi della sua abitazione.
Come matura alla fine degli settanta la decisione di suo fratello di dedicarsi al giornalismo?
“La passione per il giornalismo nacque quando mio fratello frequentava le scuole medie e fu nominato, dal suo professore, caporedattore del giornalino di classe. Poi, dopo il diploma, Giancarlo iniziò a collaborare con alcuni periodici napoletani che venivano distribuiti nei locali pubblici ed erano stampati nell’inconfondibile formato A/3. In quel periodo curava anche la rassegna stampa da Napoli per Radio Radicale, che aveva gli studi in Via Falvo al Vomero. Successivamente conobbe Amato Lamberti, che dirigeva l’Osservatorio sulla camorra, e cominciò, così, ad occuparsi di tematiche legate alla malavita organizzata. Infine la collaborazione con “Il Mattino”, come corrispondente da Torre Annunziata”.
Com’era Giancarlo? Il suo carattere, le sue passioni, il suo rapporto con il Vomero, quartiere dove era nato e dove viveva.
“Giancarlo era un ragazzo espansivo, solare e molto sportivo: oltre ad essere un grande appassionato di calcio, aveva giocato per diversi anni a pallavolo nella Fides, ai Salesiani. Era molto legato al Vomero e nel quartiere aveva la maggior parte delle sue amicizie”.
Capitava che le parlasse delle sue inchieste al giornale?
“Certo. In famiglia raccontava degli articoli che scriveva e delle inchieste che portava avanti al giornale. Consideri, tuttavia, che parliamo di un mondo, quello di trenta anni fa, completamente diverso da quello di oggi. Non esistevano gli odierni mezzi di comunicazione e tutto viaggiava più lentamente. Così l’unico momento per parlare di talune cose era la sera, a cena. E quando gli manifestavamo qualche preoccupazione per le inchieste che conduceva, Giancarlo ci rassicurava dicendo che si trattava di fatti di pubblico dominio che erano a conoscenza delle forze dell’ordine. D’altronde nessuno di noi poteva immaginare che Giancarlo fosse in pericolo di vita a causa del suo lavoro. Solo una volta, ricordo, si mostrò preoccupato e fu quando ricevette una querela dal sindaco di San Giuseppe Vesuviano. Temeva, infatti, che ciò potesse in qualche modo rallentare la sua stabilizzazione al Mattino”.
Veniamo ai giorni immediatamente precedenti all’omicidio. Si sa che Giancarlo aveva chiesto un incontro, mai avvenuto, ad Amato Lamberti per raccontargli qualcosa di importante. Anche in famiglia aveva manifestato preoccupazioni?
“No, con noi familiari non fece trasparire niente. Come ricordava anche lei, il giorno prima di essere ucciso aveva chiamato Lamberti dicendogli che aveva necessità di incontrarlo. Non aggiunse altro, se non che si trattava di questioni di cui era meglio non parlare al telefono. Amato Lamberti, con cui ho avuto modo di parlare più volte di quella telefonata, colse la preoccupazione di Giancarlo ma certo non percepì il pericolo imminente”.
La sera dell’omicidio le cronache raccontano che Giancarlo avrebbe voluto recarsi al concerto di Vasco Rossi che si teneva a Napoli. Cosa ricorda di quella serata e come apprese la notizia della morte di suo fratello?
“Quella sera tornavo a casa in macchina. Arrivai pochi minuti dopo l’omicidio e fui sorpreso nel vedere tante macchine della polizia che stazionavano nei pressi della nostra abitazione. Scesi per vedere cosa fosse successo e rimasi attonito e impietrito alla vista del corpo senza vita di Giancarlo nella sua Mehari”.
A proposito dell’omicidio. Un libro-inchiesta del giornalista Roberto Paolo ha aperto nuovi scenari su mandanti e esecutori materiali dell’assassinio di Giancarlo Siani consentendo la riapertura delle indagini. Lei che opinione si è fatto al riguardo? Ci sono ancora delle verità giudiziarie da far emergere?
“Le indagini che hanno riguardato l’omicidio di mio fratello sono state molto lunghe. Hanno avuto lunghi periodi di quiescenza per poi chiudersi con un processo che in Cassazione ha confermato gli ergastoli per i mandanti e gli esecutori materiali. Credo che la verità giudiziaria, venuta fuori dal processo, possa ritenersi sostanzialmente plausibile. Vede, il mio unico desiderio era che Giancarlo avesse giustizia e quindi posso ritenermi soddisfatto. L’inchiesta di Roberto Paolo, seppur valida, ripropone elementi già vagliati all’epoca delle indagini e non ritenuti dagli inquirenti materia di ulteriore approfondimento. Non contesto quindi il lavoro del giornalista, semmai mi lascia perplesso il fatto che si possano appurare oggi degli accadimenti di trenta anni fa. Non nego che possano esserci delle verità non emerse dall’indagine, ma dopo tanto tempo credo sia impossibile poterle accertare in presenza, oltretutto, di alcuni testimoni che sono anche morti. Piuttosto di un’inchiesta come quella di Roberto Paolo avremmo avuto bisogno trenta anni fa da parte dei giornalisti dell’epoca”.
Due film, “E io ti seguo” diretto da Maurizio Fiume e “Fortapàsc” di Marco Risi, hanno narrato la vicenda umana e professionale di Giancarlo Siani. Ha ritrovato l’autenticità della figura di suo fratello all’interno di queste due opere cinematografiche?
“Sono due film molto diversi tra loro. “E io ti seguo” ho avuto modo di vederlo al cinema da spettatore. Per quanto riguarda invece “Fortapàsc”, Marco Risi ha voluto che io e la mia famiglia fossimo parte attiva nell’ideazione e nella sceneggiatura del film. Risi ha trascorso molto tempo con noi ed ha accolto molti dei nostri suggerimenti: anche il finale del film è stato cambiato su nostra proposta. Lo stesso Libero De Rienzo, che nel film interpreta il ruolo di Giancarlo, ha passato tante ore con la mia famiglia: ha voluto visitare la nostra casa e osservare da vicino gli oggetti appartenuti a Giancarlo che mia madre custodiva gelosamente. Ed è impressionante come nel film riesca ad assomigliare a mio fratello nelle movenze e nel modo di essere. Ritengo, insomma, che “Fortapàsc” rispecchi maggiormente la vicenda e la figura di Giancarlo. E’ davvero un bel film e ha il merito di parlare al cuore della gente”.
L’auto su cui viaggiava Giancarlo è diventata, anche essa, un simbolo. A breve verrà collocata definitivamente nella rotonda della legalità in Via Caldieri, a perenne memoria del sacrificio di Giancarlo. Mi racconta la storia della Mehari?
“Giancarlo la comprò usata, insieme alla sua fidanzata Chiara, in una città dell’Emilia Romagna, non ricordo se Bologna o Modena. Qualche tempo dopo l’omicidio, alla fine del 1985, l’auto ci fu restituita dalla Questura. Interessai un mio amico affinché la vendesse immediatamente: io e la mia famiglia volemmo disfarcene subito e le confesso che non seppi neanche a chi venne venduta. Nel 2009 mi chiamò Michele Caiazzo, già sindaco di Pomigliano e da sempre impegnato nelle battaglie anticamorra, per dirmi che un suo amico, che viveva in Sicilia, era in possesso della Mehari di Giancarlo. Avvisai subito Marco Risi che qualche giorno dopo avrebbe iniziato le riprese di “Fortapàsc”. Mandò qualcuno a prendere la macchina che fu ritinteggiata di verde e dotata di una nuova batteria. In tal modo la Mehari prese parte alle riprese del film divenendone, a mio avviso, la vera protagonista”.
Lei è il presidente della Fondazione Polis che promuove, tra le altre cose, progetti per attività di ricerca sulla sicurezza e sulla legalità. Trenta anni dopo la morte di Giancarlo Siani, Napoli è una città diversa in termini di rispetto della legalità?
“Senza dubbio. Sono stati fatti enormi passi avanti in tema di legalità ed il sottoscritto è testimone di questo cambiamento in positivo che si è registrato nelle coscienze e nei comportamenti dei cittadini. Nel 1986, a pochi mesi dalla morte di Giancarlo, e dopo aver deciso di rimanere a vivere a Napoli, iniziai a tenere una serie di incontri nelle scuole della città. All’epoca, e questo per dirle come erano diverse le sensibilità rispetto a certe tematiche, tanti presidi e tanti insegnanti, pur consapevoli della gravità del fenomeno camorra, non comprendevano le ragioni di quegli incontri con gli studenti. Con l’aiuto di Geppino Fiorenza nacque, poi, la giornata contro la camorra che si teneva a novembre di ogni anno in tutte le scuole di Napoli. Un’iniziativa ripresa poi dieci anni dopo da Libera. Oggi i tempi sono cambiati e le scuole organizzano, in autonomia, tante attività ed incontri legati al tema della legalità. Anche nel campo delle istituzioni si sono registrati grandi cambiamenti. Un tempo non era frequente che un sindaco o un questore potessero partecipare a certe manifestazioni in difesa della legalità. Oggi non è più così e questo è un importante segnale di attenzione verso il tema della legalità”.
Per chiudere. Un ricordo personale, un aneddoto riguardante suo fratello Giancarlo.
“Ho tanti bei ricordi di momenti trascorsi in compagnia di Giancarlo. Le partite allo stadio, le gite in Mehari, i primi calci al pallone per le strade del quartiere. Purtroppo rimane il rammarico per non aver potuto condividere tante altre cose. Ecco perché il dolore per questa enorme cattiveria perpetrata nei confronti di mio fratello rimarrà per sempre”.
di Giuseppe Farese
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