La Lady di ferro in campo contro la violenza sulle donne
Quando a settembre ha ricevuto il premio speciale della giuria per il “Sele d’oro Mezzogiorno” lei, Stefania Brancaccio, vicepresidente della Coelmo, in una battuta ha condensato tutta la forza del suo carattere. Al sindaco di Oliveto, Mino Pignata, che le suggeriva di fare attenzione alla scultura, pesante, lei ha risposto: «nessun problema, sono stata metalmeccanica per tanti anni». Oggi è una donna forte del Vomero, industriale, cavaliere del lavoro, presidente regionale dell’Unione cristiana imprenditori dirigenti (Ucid) e del comitato imprenditoria femminile per la Camera di Commercio di Napoli – ma ricopre altri incarichi di prestigio in vari enti e istituzioni, elencarli tutti sarebbe impossibile.
Brancaccio, l’ultimo impegno sociale che l’ha vista protagonista qual è stato?
«Un dibattito pubblico in occasione della giornata contro la violenza sulle donne. Lo scopo è stato non di contestare la violenza, o almeno di non partire da questo assunto che sembra ormai condiviso da tutti e forse per questo meno forte come messaggio. Abbiamo voluto constatare, per la precisione che nulla o poco sia cambiato. Ci siamo messi nei panni degli uomini che usano violenza contro le donne cercando di capire le ragioni che muovono il ‘prima’, cosa scatta nella loro mente che li porta a comportarsi in un certo modo».
Sono state avanzate proposte precise?
«Io ho proposto una norma che qualsiasi azienda potrebbe adottare, inserendola nel proprio contratto di lavoro, ovvero che chiunque si macchi di un atto di violenza fisica e verbale che possa ledere un o una collega è passibile di licenziamento in tronco. Un’iniziativa da non sottovalutare, sono veramente tantissimi i casi di molestie in ambito lavorativo».
Alla Coelmo come si tutelano le donne?
«Lotto da sempre perché le donne, specialmente in azienda, godano di diritti propri. E, fra i primi, annovero proprio il loro essere femminile, dal parto all’accudimento dei figli. Tanto per fare un esempio nella Coelmo ci siamo attrezzati con un baby parking, ma di iniziative per il benessere di tutti i dipendenti ne mettiamo in pratica tante».
Per esempio?
«Abbiamo voluto la conciliazione, che a noi piace chiamare “coordinamento dell’orario di lavoro”, per una più serena conciliazione dei tempi di vita familiare, consapevoli delle diversità dei bisogni rispetto al genere e ai cicli di vita delle donne. Tra le azioni di conciliazioni lo sportello Family Friendly, lo sportello Commissioni/Fattorino aziendale, l’accudimento figli durante riunioni e momenti critici, il baby sitting rivolto all’assistenza domiciliare su richiesta».
Ci sono dipendenti di origine extracomunitaria?
«Certo, per loro abbiamo organizzato corsi di supporto per l’alfabetizzazione di lingua italiana, di cui possono beneficiare non solo i dipendenti ma anche i familiari, fornendo un aiuto per riuscire ad ottenere il congiungimento familiare. Ai dipendenti stranieri abbiamo concesso periodi di ferie extra da utilizzare per visitare le famiglie non ricongiunte nei propri Paesi».
Non si è mai chiesta: “non è un lavoro da donna”?
«Ho avuto coraggio quando ho iniziato, ma attenzione il coraggio non è temerarietà. Come diceva Ambrosoli “avere coraggio non è essere eroi”, vuol dire essere una persona normale che vuole lavorare e vivere la propria vita in pieno. La Coelmo produce gruppi elettrogeni. Da questa descrizione merceologica emerge un’immagine di un’azienda che può scoraggiare un pubblico femminile. Espressioni quali “progettazione, manutenzione, conduzione di macchine elettriche, interventi manutentivi” non permettono di capire con esattezza di cosa si tratti. Queste locuzioni sono associate all’idea di un lavoro che implica forza fisica e pertanto, in quanto donna, avrei potuto scoraggiarmi, ma allora non ho mai pensato “non è un lavoro da donna”».
Come si concilia vita familiare e impegno professionale?
«Sono riuscita a gestire il mio tempo, il grande nemico di noi donne, perché ero la proprietaria. Ma è da lì che sono partita e ho sentito la necessità di dover parlare di “identità di genere” per offrire alle donne che hanno collaborato con me le stesse opportunità che ho avuto io».
Ugo Cundari
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