La bulimia nervosa
Luca Pizzonia – Psicologo/Psicoterapeuta
Il cibo fa parte della vita di tutti noi, ci è necessario per avere il necessario nutrimento. Ma a volte utilizziamo il cibo anche per appagare altri bisogni, diversi dal fisiologico “appetito”.
La bulimia nervosa è un disturbo alimentare caratterizzato da episodi di abbuffate seguiti di solito da comportamenti compensatori.
Le abbuffate consistono tipicamente nel mangiare grandi quantità di cibo, spesso ad alto contenuto calorico. In genere questo viene fatto in segreto e può continuare per anni senza che gli altri se ne accorgano.
Il comportamento compensatorio utilizzato più frequentemente è il vomito autoindotto, ma possono esservi anche abuso di lassativi e di diuretici, digiuno e attività fisica eccessiva. Gli scopi di questo comportamento sono “neutralizzare” l’abbuffata e cercare di alleviare il senso di colpa che questa provoca, minimizzando ogni aumento di peso. Ma risulta più distruttivo dell’abbuffata perché ha un maggior numero di pericoli fisici e medici e, inoltre, aiuta a legittimare l’abbuffata (neutralizzandola, aumenta la probabilità che questa in futuro si verifichi di nuovo).
Frequentemente la persona bulimica riferisce di utilizzare questo comportamento come reazione all’ansia o ad episodi che la fanno sentire a disagio. Dominano emozione quali paura e rabbia alle quali reagisce mangiando, con l’incapacità a tollerare la sofferenza e il senso di vuoto.
Difficile parlarne in famiglia; non è raro che i propri cari, che non comprendono o non arrivano a capire il disagio, possano scambiare determinati sintomi per mal di stomaco, gastrite o problemi nutrizionali, aumentando ancora di più la sensazione di sentirsi incompresi.
Uno degli aspetti più importanti riguarda il “controllo”. Le persone bulimiche sono individui che tipicamente non sentono di avere il controllo dell’alimentazione, dei sentimenti o della vita. Sotto molti aspetti la bulimia contribuisce a questa sensazione, ma viene anche usata per gestire i sentimenti e ripristinare un senso di controllo.
Il cibo diventa l’unico punto di riferimento, sempre a portata di mano, che non tradisce, non giudica e non abbandona.
Infine, questi individui si presentano spesso come persone “forti”, rendendo più difficoltosa la richiesta di aiuto.
Il trattamento psicoterapeutico è quasi sempre necessario, ma la prognosi nella maggior parte dei casi è buona. Una buona occasione è rappresentata dai gruppi terapeutici nei quali l’atmosfera di fiducia e accoglienza permette ai partecipanti di aprirsi e confrontarsi con gli altri partecipanti e il terapeuta.
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