Intervista a Maurizio de Giovanni
Maurizio de Giovanni è, ancor prima che napoletano, vomerese. Ama definirsi, infatti, vomerese di nascita e di “permanenza”, per rimarcare il legame forte con il suo quartiere di origine, dove ancora oggi risiede. Un attaccamento ai luoghi e alle radici, insomma, per nulla scalfito dal successo e dalla popolarità conquistati negli ultimi anni. Già, perché la vita di de Giovanni conosce un prima e un dopo. Il prima è caratterizzato da un’esistenza normale, accompagnata dalle certezze dell’impiego in banca e dalla passione per la lettura. Sono anni, come lui stesso racconta in quest’intervista esclusiva a Vomero Magazine, in cui nulla lascia presagire che la scrittura e la narrativa entreranno in maniera preponderante nella vita di de Giovanni. Nel 2005 arriva la svolta. La vittoria ad un concorso letterario, in cui viene iscritto per gioco, segna l’inizio di una nuova vita. Gli editori cominciano ad interessarsi ai suoi scritti. Nasce la saga del commissario Ricciardi che nel giro di qualche anno conquista milioni di lettori in Italia e all’estero, dove i romanzi vengono tradotti. La serie dei Bastardi di Pizzofalcone, che ha per protagonista l’ispettore Lojacono e che presto diverrà una fiction per la tv, consacra definitivamente de Giovanni come affermato autore di best seller.
Negli ultimi anni sei diventato uno scrittore di successo con un’enorme popolarità. Come è cambiata la tua vita?
“E’ cambiato solo il fatto di essere riconosciuto per strada, cosa molto gratificante, e l’opportunità di parlare a tanta gente. E’ bellissimo, anche se qualche volta molto faticoso. L’importante è non essere mai costretti a fingere di essere diversi da quello che si è. Io ho questa fortuna, e non intendo scambiarla con nulla al mondo”.
Fino al 2005, anno della svolta, lavoravi in banca e avevi una vita normale. Poi cosa è successo?
“Prima del 2005 non avevo mai scritto una sola parola di narrativa, e avevo ormai quarantasette anni. Lavoravo in Banca (ammesso che possa parlarsi di lavoro), il posto più lontano dalla creatività che possa ipotizzarsi, dove la mancanza di un precedente può gettare un alto dirigente nello sconforto più totale. Leggevo tanto. Poi fui iscritto per gioco a un concorso letterario che si svolgeva al Gambrinus e lo vinsi. Il premio consisteva nella pubblicazione del racconto sull’Europeo che fu letto da un agente letterario di Padova.
Di qui il primo editore locale, poi Fandango, poi Einaudi…e da allora non mi sono più fermato”.
Napoli è fonte di ispirazione per i tuoi romanzi. Come nascono le tue storie e i tuoi personaggi?
“Nascere a Napoli significa essere molto, molto fortunati. La nostra città racconta storie in continuazione, essendo nata dal mare e aperta alle parole nuove. Ed è anche una città di contrasti e di mescolamenti, con quartieri dal cuore nero e dalla faccia pulita in costante, stridente, contrasto. Il luogo perfetto, insomma, per storie di sangue e d’amore come quelle che tento di raccontare io”.
Quali sono i luoghi della città che hanno una caratterizzazione più noir?
“Non credo che la caratterizzazione noir la facciano i luoghi. Anzi, spesso mi cimento ad ambientare i delitti più efferati nei luoghi più meravigliosi della città. Che di certo non mancano”.
Tra i luoghi della città in cui hai ambientato i tuoi romanzi c’è anche il Vomero.
“Al Vomero ho ambientato alcune vicende sia dei Bastardi che di Ricciardi, tenendo ben presente che il quartiere nel corso del secolo si è profondamente trasformato: da borgo rurale, lontano da tutto, ad affollatissimo agglomerato urbano che conta oggi più di duecentomila abitanti, ben collegato e per questo molto frequentato anche dall’hinterland”.
Le storie del commissario Ricciardi si snodano negli anni trenta. Che cosa ha motivato questa scelta temporale?
“C’è un motivo per così dire incidentale: Ricciardi è nato al Gambrinus e l’ho collocato negli anni trenta facendomi influenzare dall’atmosfera liberty del locale. Avrei ben potuto cambiare in seguito, ma non sopporto la polizia scientifica, il Dna, la balistica forense e così via. Preferisco di gran lunga le indagini sui sentimenti”.
Con il ciclo dei Bastardi di Pizzofalcone sei tornato alla Napoli contemporanea. E più facile raccontare la Napoli del secolo scorso o quella dei nostri giorni?
“Forse gli anni trenta hanno un fascino autonomo che ha probabilmente aiutato Ricciardi a entrare nel cuore dei lettori. Ma sicuramente conosco meglio la Napoli contemporanea, e questo mi facilita enormemente, senza bisogno di studio e approfondimenti, a tratteggiare luoghi ma anche tipi umani”.
I Bastardi di Pizzofalcone diventeranno una fiction per la tv che andrà in onda su Raiuno alla fine del 2016. Che cosa ti aspetti dalla resa televisiva?
“Premetto che io sono solo uno degli sceneggiatori e l’autore dei romanzi dai quali la serie verrà tratta: la molteplicità delle professionalità coinvolte, regista, attori, tecnici ed editor darà luogo a qualcosa di complesso ed elaborato che mostrerà una realtà che io stesso sono ansioso di vedere. Napoli è vittima di eterni stereotipi, e l’aspirazione è mostrarne un punto di vista attuale e realistico senza crearne di nuovi: una “normale” metropoli mediterranea, piena di cose belle e di cose atroci, con in mezzo tanta gente che lavora e vive una vita tutt’altro che facile senza necessariamente fare il pizzaiolo o il camorrista. Tutto qui”.
Camilleri, Carlotto, Carrisi, De Cataldo, de Giovanni solo per citare i più famosi. E’ nato un filone noir sociale e legato al territorio?
“Il romanzo nero è per definizione un tipo di narrativa sociale, che non ha paura di rimestare nel lato oscuro, quello che genera la delinquenza o il delitto. Il noir italiano è diversificato perché non è omogeneo il territorio, contrariamente per esempio a quello scandinavo che pure ha delle meravigliose eccellenze. Personalmente sono orgoglioso di far parte di una generazione particolarmente produttiva e feconda, che non ha a mio parere uguali nel mondo”.
Tu hai scritto anche un ciclo di racconti sportivi incentrati sui trionfi del Napoli di Maradona. Che cosa hanno rappresentato quei successi per la città e per i napoletani?
“Uno scrittore, se vuole diventare tale, deve continuamente sperimentare. Le diverse scritture sono come vocalizzi e scale per un cantante, percorrere territori sconosciuti deve portare a nuovi equilibri. L’importante è che ci sia passione, e se si parla d’azzurro a me viene fuori da sola. Ecco la genesi delle storie azzurre, con cui ho tentato di dare il segno di che cosa abbiano rappresentato i successi calcistici per la città e i napoletani: una vera rinascita che spero stia per riproporsi. Napoli è l’unica grande metropoli che ha una squadra sola, cui è molto affine: entrambe sono capaci di imprese clamorose e lunghi periodi di Medio Evo.
Spero che un nuovo Rinascimento stia finalmente per arrivare”.
A proposito di Napoli, alcuni ritengono che la città sia in perenne declino altri, invece, parlano di riscatto in corso. Tu come la vedi?
“Per quanto mi riguarda colgo senz’altro i segni del riscatto in corso. C’è diffusa in città la presa di coscienza di un’identità culturale e storica che sembrava perduta, probabilmente anche per l’assalto mediatico che subiamo da tempo e che sembra rispondere all’esigenza di creare un luogo che sia infernale per definizione. Si sente maggiore senso di partecipazione e voglia di affermazione di certi principi culturali che sembravano dimenticati, pur nella piena consapevolezza di quanto ci sia di atrocemente negativo, come le condizioni di alcune fasce sociali e delle periferie. Ma la strada mi sembra quella giusta”.
Per tornare alla Napoli del calcio, oggi i buoni risultati della squadra sono legati alla figura di Maurizio Sarri.
“Io lo adoro. E come potrei non amarlo? Abbiamo lo stesso nome, lo stesso passato di bancari pentiti e il medesimo anno di nascita. Scherzi a parte, ho avuto di recente la fortuna di conoscerlo e si è rivelato un uomo intelligente, colto, sensibile e spiritoso, con una moglie deliziosa, con cui spesso si sente la mia. E poi, dulcis in fundo, non trascurerei il lavoro straordinario che sta facendo per una squadra che all’inizio del campionato non era certo candidata al successo finale e che invece se la sta giocando con squadroni ben più titolati”.
Per finire il tuo lato privato. Come occupi il tempo quando non sei impegnato a scrivere?
“Se può definirsi hobby l’attività assai gradita che si pratica quando si ha del tempo libero, allora da un po’ di tempo a questa parte, considerata la vita frenetica che faccio, il mio hobby preferito è senz’altro dormire”.
Che cosa legge Maurizio de Giovanni?
“Purtroppo di recente riesco a leggere solo per lavoro: leggo i testi che mi servono per ambientare senza troppi errori le mie storie che si svolgono negli anni Trenta e quelli che devo recensire o a cui devo fare una prefazione. Mi manca l’emozione di una scelta casuale come quella che mi regalò, per esempio, alcun anni fa la felicità di imbattermi nella Trilogia della città di K. di Agota Kristof”.
GIUSEPPE FARESE
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