Intervista esclusiva al PM Catello Maresca
Nel suo libro “Male capitale”, il pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, Catello Maresca utilizza nomi inventati che dissacrano e deridono i componenti del clan dei Casalesi. Basti pensare che il nome dell’organizzazione cambia ne “il clan dei Caponesi”, che richiama un po’ i fratelli Capone interpretati da Totò e Peppino, oppure che il fondatore del sodalizio criminale casertano, Antonio Bardellino, diventi Antonio Porcellino. Le pagine del libro, accompagnate dalle fotografie scattate da Nicola Baldieri, finiscono per denigrare inevitabilmente le gesta dei malavitosi che per anni ha tenuto sotto scacco l’area casertana, costretti a nascondersi come topi in dei buchi, e allo stesso tempo, lanciano un messaggio chiaro soprattutto ai giovani affinché scelgano la strada giusta: quella del rispetto delle leggi, dell’onestà e del lavoro. Un messaggio che rimanda al Luciano De Crescenzo che nel film “Così parlo Bellavista”, rivolgendosi ad un camorrista (interpretato dall’indimenticato Nunzio Gallo) gli chiede: “Ma vi siete fatti bene i conti? Vi conviene? Non è che fate una vita di merda?”. Inoltre le tante foto di ruderi inutilizzati lasciano intendere che “la legge sui beni confiscati non funziona” anche se il “leitmotiv” del libro è che lo Stato, alla fine, ha vinto trasformando le ville dei boss confiscate in strutture affidate alle coop sociali che le utilizzano per creare prodotti tipici, centri antiviolenza sulle donne, luoghi di socializzazione. Frutto del lavoro di oltre dieci anni fatto dal pm della Dda Catello Maresca con la sua “squadra” sui Casalesi. In uno dei rari momenti liberi della sua vita dedicata al lavoro e alla famiglia, Maresca si concede con piacere ad un’intervista per i lettori di Vomero Magazine.
Più che un semplice lavoro, il Suo impegno contro i clan della camorra può essere definito come una missione?
“Non so se si possa definire una missione, di sicuro è un lavoro fatto con passione. Non lo faccio solo in maniera burocratica e amministrativa ma cerco di metterci qualcosa in più anche extragiudiziario. Sto cercando di creare una parentesi, uno spazio di tempo da dedicare all’incontro con i ragazzi delle scuole perché mi piace pensare che questa “mission” possa andare oltre i risultati giudiziari ovvero la speranza di sconfiggere tutti insieme i clan camorra e gli altri fenomeni criminali”.
Le organizzazioni criminali sembrano rappresentare una presenza oscura ma pur sempre condizionante. Può esserci, in Italia, la speranza che prima o poi si possano annullare gli affari della malavita?
“La speranza non posso mai perderla istituzionalmente. Ci possono essere dei momenti di scoraggiamento, momenti in cui uno si aspetta qualcosa di meglio. Ci sono problemi anche ambientali, c’è una fase in cui la recrudescenza criminale acquisisce sembianze che sembrano insuperabili ma dall’alto della mia esperienza alla direzione distrettuale antimafia, ogni tanto, posso tirare le somme, ovvero tracciare i resoconti dell’attività svolta. E da questi consuntivi del lavoro viene fuori che se un sistema lavora bene, se un gruppo di persone riesce ad individuare una strategia incisiva, i risultati vengono raggiunti. Poi se saranno decisivi e definitivi oppure no, questo lo dirà la storia”.
Cosa deve accadere affinché la presenza della camorra, della mafia o della ndrangheta sia ridotta al minimo o annullata del tutto?
“Mi piacerebbe che ci fosse una strategia a partire dalla cultura cioè dall’analisi delle motivazioni della devianza. Intere generazioni di ragazzini che si votano al male. Noi non sappiamo nemmeno di quanti soggetti parliamo: è necessaria una diagnosi, ovvero analizzare e risolvere il problema a monte. Tamponare non significa risolvere il problema ma per farlo bisogna capire perché i giovani ad una certa età si votano al male e cercano strade facili. Le ragioni possono essere diverse: la fame, la disoccupazione o la lontananza delle istituzioni, le famiglie oppure un sistema di istruzione inadeguato. Questo sforzo va realizzato creando un osservatorio sul fenomeno delle devianze come accade, per esempio a Modena. Servirebbe anche qui ma ci sono dei costi per realizzare un censimento delle famiglie a rischio. Ma, ripeto, sarebbe molto utile per capire se stiamo combattendo contro uno o contro mille”.
A Napoli e in Campania, però, anche grazie al Suo lavoro, sono stati fatti molti passi in avanti rispetto alla realtà della criminalità organizzata di qualche anno fa.
“Qualcosa si è fatto in termini di sicurezza, mi manca ancora il ritorno su questo inizio di questa analisi che andrebbe fatta e pianificata coinvolgendo anche l’università. Si tratta di una piaga profonda e molto passa attraverso la cultura e l’educazione. Nelle scuole e per strada bisogna far comprendere alle nuove generazioni che il trend da seguire deve essere un altro, ovvero non farsi ammaliare dalle facili ricchezze della criminalità organizzata ma recuperare il senso dei sacrifici, dell’impegno e della passione. A partire dalle piccole cose”.
L’area che comprende i quartieri Vomero e Arenella rappresenta il più grande centro commerciale naturale d’Europa. E non sono mancati negli ultimi anni episodi di cronaca legati al racket ai danni dei negozianti così come allo spaccio della droga. Cosa può fare lo Stato per renderla più sicura quest’area della città?
“Sul Vomero e sull’Arenella l’impressione che ho è che sono quartieri che, come gli altri, debbano sottostare ad una serie di dinamiche, tra cui il riciclaggio di denaro sporco che rischia di esserci così come in tutte le aree dove sono presenti numerosi esercizi commerciali. I miei amici vomeresi mi dicono che per effetto della presenza della metropolitana, in alcune fasce orarie si determina una presenza scomoda di soggetti non vomeresi che vengono al Vomero a fare “bottino”. Anche se io, quando vengo al Vomero, noto un presidio costante delle forze dell’ordine, cosi come in via Toledo ed in piazza Plebiscito per esempio. La sensazione è di un territorio ben sorvegliato”.
Lei ha scritto un libro, “Male capitale”, che testimonia il suo grande lavoro investigativo nei confronti del clan dei Casalesi. Si può dire che questo clan non esiste più oggi?
“Il clan dei Casalesi, cosi come lo ho trovato più di nove anni fa quando ho iniziato, non esiste più. All’epoca Zagaria e Iovine erano latitanti poi sono stati arrestati e altre cinquemila persone sono state processate e condannate. Una mole significativa di attività svolta che ci consente, oggi, di affermare che quel clan non esiste più nel senso che non c’è più quel tipo di organizzazione ma ne esistono tanti altri. Le nuove generazioni, infatti, tendono a ripercorrere le gesta dei precedenti clan. Non bisogna commettere l’errore di ritenere finito il lavoro, cosa che porterebbe nel giro di pochi mesi a ritrovare il nemico più forte di prima”.
La cronaca di questi giorni ci racconta delle “paranze” che seminano il terrore a Napoli. Il Suo libro è diretto ai più giovani?
“Ho la speranza e l’aspirazione che possa essere diretto ai giovani, e tra questi i miei figli, per far capire loro determinate cose. Si scelgono delle strade nella vita. Nel libro, insieme a Nicola Baldieri abbiamo pensato che le foto potessero rappresentare il metodo migliore per colpire, con l’impatto visivo, una generazione che legge sempre meno. E poi le immagini non ingannano rispetto alle parole che possono anche ingannare o portare su strade diverse. Le immagini rappresentano la realtà lasciata dai Casalesi la cui presenza è stata come una dominazione che poi è finita. Loro hanno dominato il territorio e deciso le sorti delle generazioni bruciando le terre e violentandole con cumuli di rifiuti”.
Cosa è mancato finora nella lotta alle organizzazioni criminali?
“E’ mancato il lavoro sulle nuove generazioni. Gli effetti degli interventi di magistratura e forze dell’ordine ci sono stati ma si stentano ancora a vedere. Allora o il lavoro è stato poco incisivo oppure ci vorrà più tempo per vederne i risultati. Certo è che l’azione della magistratura rischia di essere vanificata se mancano le altre componenti”.
Alessandro Migliaccio
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