Il ricordo del più grande di tutti
L’EX CALCIATORE GIANNI DI ROCCO RACCONTA IL SUO MARADONA
A novembre dello scorso anno la scomparsa del pibe de oro
Alcuni ricordi restano impressi. Quel brivido che riaffiora sulla pelle, ogni volta che gli eventi passati ci tornano in mente, è sintomo di un’emozione che ci accompagnerà per sempre.
A un anno dalla scomparsa di Diego Armando Maradona, nella memoria di ogni tifoso napoletano la sua immagine continua a essere nitida e intensa, ma assume un significato ancora più grande per chi, come Giovanni Di Rocco, ex calciatore napoletano e cittadino vomerese, Diego lo ha conosciuto da vicino.
Che ricordo hai di quella squadra che ha fatto la storia e di Diego?
Ho avuto il piacere e la fortuna di giocare con Diego quando ero molto giovane, dai 15 ai 18 anni. All’epoca il calcio era diverso da quello di adesso. I giovani erano “separati” dalla prima squadra e si portava grande rispetto nei confronti di coloro che vestivano la casacca dei titolari. Tuttavia, si respirava un’aria familiare. Quando noi delle giovanili andavamo in panchina, Diego e gli altri giocatori erano prodighi di consigli: non ci facevano pesare il loro “status”.
Quali sono le origini del legame con la maglia azzurra?
Io sono tifoso del Napoli da sempre. Mio padre mi portò allo stadio per la prima volta per una partita contro la Juventus in Coppa Italia: vincemmo 5 a 0. Da allora sono passati 46 anni e il mio cuore continua a palpitare per questi colori. Ho avuto la gioia, inoltre, di vestire la maglia azzurra per 9 anni nelle giovanili, coronando poi il sogno di esordire in prima squadra nel 1988: la stagione della Coppa Uefa.
C’è un aneddoto che racconti ancora con orgoglio?
Prima di Napoli-Como, partita che avremmo vinto 3 a 2, era squalificato Renica e molti giornali paventavano l’ipotesi che potessi giocare io dall’inizio. Tuttavia, quando mister Bianchi annunciò la formazione, io non risultai trai titolari. Diego si accorse della mia delusione e, prima del riscaldamento, mi portò in un campetto di terra rossa all’interno del sottopassaggio che usavamo per il calcio tennis.
Lì giocammo assieme (lui a un tocco, naturalmente, e io a 2/3) e mi disse di non preoccuparmi, che la mia occasione sarebbe arrivata. Era molto vicino ai giovani.
Cosa rende Maradona un mito insuperabile per il nostro popolo?
Napoli in quel periodo veniva da tante difficoltà, molte delle quali perdurano anche oggi, e Diego aveva manifestato il suo amore per questa terra che lo ha ricambiato incondizionatamente. Quando venne a Napoli partecipò a una partita di beneficenza ad Acerra, in un campo dissestato, che nessuno potrà mai dimenticare.
La gente vedeva in lui un eroe dalla parte della città e dei più deboli. Maradona è insuperabile perché non si è mai schierato con i più forti, nonostante fosse proprio lui il più forte di tutti.
Quali sono i tuoi auspici per il futuro del calcio?
Nel calcio moderno, purtroppo, i sentimenti vengono messi in secondo piano, perché si tratta di una grande azienda che persegue ben altri valori. I tifosi continuano a restare affezionati alla maglia, ma i giocatori, anche quelli che si professano “paladini” della città, poi alla fine passano tutti. Spero che i più giovani possano ritornare ad immedesimarsi nelle gesta di un proprio eroe sportivo, magari proprio qui all’ombra del Vesuvio.
Gabriele Russo
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