Il dono per Lucia Migliaccio, storia della Villa Floridiana
Nel 2017 cade il duecentesimo anniversario di un famoso “cadeau d’amour “, del dono regale della Villa Floridiana, che Ferdinando I di Borbone volle per la sua amata Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia e principessa di Partanna, sua seconda moglie, sposata dopo solo ottanta giorni dalla morte della regina Maria Carolina d’Asburgo Lorena. In occasione di una ricorrenza della nobildonna, Ferdinando, dopo averla invitata a visitare la Villa, durante la colazione che vi aveva organizzato, nascose teneramente l’atto di donazione nel tovagliolo della duchessa.
Giandomenico Vespoli nel 1825, quando la Villa era ancora abitata da Lucia Migliaccio, così la decantava: “Cosa eran mai le ville dei Luculli e de’ Pollioni in una contrada ancora incolta, ove non pervenivasi che attraversando una grotta angusta e fangosa, come ce la dipingon tutti gli scrittori di quei tempi? Potevano esse paragonarsi a questa villa, che sembra ivi fabbricata per man delle fate? Quante bellezze di natura e di arte radunate in un sol luogo! Quale scuola per pittori di paesetti! Qual tesoro di immagini pel poeta! Tutto invita a trattenersi in questa, che sembra la sponda più venusta dell’Isola sacra della Dea del Piacere…Da poeta direi, che se amore avesse dovuto sulle sponde del Sebeto comporre per se stesso una stanza di diletto, non l’avrebbe meglio immaginata di quel che si mostra ai nostri occhi incantati la bella Floridiana”.
Il poeta tedesco Augusto von Platen, uno dei tanti nobili attratti dalla nostra città, visitando la Floridiana e sapendo che era un dono di un re alla donna amata scriveva:“Una regale casa d’amore protesa sulla luce infinita e sulla grazia del paesaggio napoletano”. La Villa Floridiana è stato lo scenario privilegiato di una grande storia d’amore, quella del Re Ferdinando I e di Lucia Migliaccio, due protagonisti non più giovani, 65 anni lui, 45 anni lei, che realizzano, dopo esistenze più o meno travagliate, il sogno di un amore finalmente sereno. Qui Lucia trascorreva gran parte della primavera e l’intera estate assieme alla figlia minore Marianna, nonché le belle giornate invernali, conducendo un’intensa vita mondana. Ferdinando la raggiungeva spessissimo, tra un intervallo ed un altro delle sue preoccupazioni politiche, per trascorrere con lei ore serene e ristoratrici e per rifugiarsi tra le sue accoglienti e calorose braccia.
La Villa Floridiana, la più bella e rappresentativa villa ottocentesca per la sua sontuosità e panoramicità, fu costruita sul punto più incantevole della deliziosa collina del vomero, da dove si poteva godere del magnifico panorama del golfo di Napoli.
La collina del vomero, meta prediletta di Ferdinando I, era già alla fine del “700, una delle zone di villeggiatura più alla moda di Napoli, un luogo mitico e incantato, apprezzato e conosciuto in tutta Europa, attraverso i racconti di viaggio e le immagini iconografiche di artisti e pittori.
La villa Floridiana ha cambiato più volte estensione, configurazione e proprietari, ma l’evento più importante della sua vita fu l’acquisto e la sistemazione che ne fece nel 1817-18 il Re Ferdinando I di Borbone per donarla come residenza alla sua seconda moglie Lucia Migliaccio.
Volendo ricostruire la storia della villa Floridiana, dobbiamo fare un passo indietro, e precisamente sulla Napoli di fine Cinquecento, quando i grossi patrimoni, che allora consistevano in proprietà fondiarie, circolavano nel circuito dei nobili e del clero, con frequenti donazioni e lasciti di aristocratici alla chiesa, per sentimenti devozionali. Siamo nel 1592, quando il nobile Francesco Antonio Civitella, entrando come frate benedettino nella Badia di Cava dei Tirreni (fra Silvestro), donò a quel monastero un fondo fra il Vomero e la zona alle spalle della Riviera di Chiaia. La Badia valorizzò il fondo costruendovi un fabbricato “egregio e nobile”, ad uso di preghiera e di riposo per i monaci. Era l’antenato di Villa Lucia. Nel 1635 i monaci vendettero il fondo con il fabbricato alla proprietaria confinante, Felice Maria Orsini, Duchessa di Gravina. Nel 1646 la nobildonna fece atto di donazione del fondo e di altri suoi confinanti ai padri Lucchesi di Santa Maria in Portico. Fra una donazione ed un’altra, i padri Lucchesi divennero proprietari dell’intera fascia di pendio fra Vomero e Riviera di Chiaia, su cui in seguito sorgeranno Via Martucci, piazza Amedeo, Corso Vittorio Emanuele, Parco Grifeo, la Floridiana e villa Lucia.
A cavallo fra il ‘700 e ‘800, fra confische ed espropri, i terreni dei padri Lucchesi passarono di mano fra coloro che in quegli anni si alternarono al potere nel Regno di Napoli: i Borbone e i francesi.
Alla fine del ‘700, un certo Francesco Chevreux, un faccendiere, detto Lalò, ben addentro alla corte borbonica, favorito di Maria Carolina, chiese ai padri Lucchesi un fondo di circa due moggia e mezzo, confinante con Via Cimarosa (una parte dell’attuale Floridiana), sul quale fece costruire, allora si disse con i soldi della Regina Maria Carolina, una “casina nobile” con un grande parco (l’antenata dell’attuale Museo), che Pietro Colletta riteneva ad uso “della libidine” della regina.
Con la conquista del Regno di Napoli da parte dei Francesi nel 1806 , la tenuta di Lalò e i terreni dei padri Lucchesi dal Vomero a Chiaia, furono acquistati dal potente Cristoforo Saliceti, allora ministro degli interni del governo di Gioacchino Murat. Saliceti affidò all’architetto Francesco Maresca gli interventi di sistemazione dell’intero fondo con gli annessi fabbricati, predisponendo in un certo senso quello che sarà l’assetto definitivo della Floridiana. Il fabbricato ad uso di riposo e di preghiera per i monaci (l’antenato di villa Lucia), fu corredato di sei colonne di ordine dorico ed una gradinata, trasformando il tutto in un tempio di sapore classico, con funzioni di coffee-house.Saliceti da subito incominciò a ricevere ospiti, ma la morte lo colse un anno dopo la sistemazione della Floridiana e precisamente il 23 dicembre del 1809 Anche dopo la morte del Saliceti, suo genero, Giuseppe Caracciolo principe di Torella, marito di Caterina Saliceti, continuò ad ospitare nella Floridiana personaggi illustri, fra cui Gioacchino Murat e sua moglie Carolina Bonaparte, e nel 1814 Paolina Borghese.
Nel 1815 Ferdinando I di Borbone, ritornato sul regno di Napoli, acquistò le proprietà del Saliceti ed una striscia di terreno di proprietà del marchese Sinna, striscia strategica per il confinamento e per la presenza di una importante cisterna d’acqua,più altre proprietà confinanti verso Chiaia, di proprietà del sacerdote don Vincenzo Picone, che consentivano l’apertura di un secondo ingresso, in direzione, appunto, di Chiaia. Era il 20 settembre del 1817. In definitiva il re aveva messo insieme una proprietà di estensione doppia di quella ex Saliceti, per farne dono alla sua seconda moglie, Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia.
Il Re affidò ad Antonio Niccolini, il migliore architetto di allora, il compito di sistemare organicamente il tutto. Niccolini si accingeva a sistemare un suolo di circa 18 ettari la cui la parte bassa, che degradava verso Santa Maria in Portico e la Riviera di Chiaia, era sistemata ad orto e frutteto, mentre la parte alta, simile ad un grande bosco, circondava i due “casini nobili” di soggiorno, l’attuale sede del museo e Villa Lucia.
I lavori iniziarono nell’autunno del 1817 e furono portati a termine in solo due anni e con una spesa contenuta, tanto che il Niccolini si guadagnò la nomina di amministratore della tenuta. Niccolini modificò radicalmente la preesistente casina (l’attuale museo) in una residenza elegante, con decorazioni ispirate a motivi classico- mitologici. Il primo intervento riguardò l’ingresso principale, quello di Via Cimarosa . Infatti, un cronista dell’epoca, il 29 settembre del 1817 annota: alla Villa recentemente acquistata per Lucia e che dal titolo di lei ha preso il nome, per cui a lettere cubitali indorate si legge sul primo cancello d’ingresso “La Floridiana”.
Giandomenico Vespoli nel 1825 ce la descrive:“un bel lungo viale di maestose acacie mena a nobile quanto elegante casino. Un portico coperto dà ingresso al Palagio. è questo ripartito in piano-terreno e due piani nobili con quartini superiori, divisi in due bracci…”
Nulla resta della camera da letto di Lucia, dove pare che il Cammarano avesse dipinto sul soffitto Diana entro una ghirlanda di papaveri, allusiva al sonno. Né della camera da bagno, in cui si vedevano una larga vasca di marmo, con balaustra di metallo dorato, sedili di marmo lungo le pareti, specchi, affreschi alle pareti e nei soffitti.
Anche il tempietto (Villa Lucia) fu trasformato dal Niccolini in stile pompeiano, fu chiamato “tempio di Flora” e fu adattato a feste da ballo e a serate mondane. Giandomenico Vespoli ci fa sapere:“questo Kaffehaus è abbellito di ricchissimi mobili ed elegantissime suppellettili. Un delizioso parterre smaltato da mille fiori nascenti, seminato d’ amaranti e di viole, introduce al nobile tempio, la cui facciata è decorata dalle immagini delle Muse e delle quattro stagioni”.
Il Niccolini collegò le due differenti quote del parco, con un suggestivo e ardito ponte, che realizzò in pochi giorni nel 1818 ed ancora visibile da piazza Amedeo. Sull’arco del ponte si legge, con lettere di bronzo dorato, da una parte, “Ferdinando I 1819” e dall’altra, Lucia Duchessa di Floridia”. Il Niccolini seppe armonizzare in maniera magistrale i due edifici in stile neoclassico, con il suggestivo parco che sistemò all’inglese. Il parco fu, inoltre, arricchito da numerosi arredi scultorei e architettonici, quali: il teatrino di “verzura”, le statue, le numerose fontane, le finte rovine ed infine, il bianco tempietto – belvedere circolare, con colonne doriche e cupola , ubicato sul limite estremo del panoramicissimo giardino terrazzato.
“Il teatrino di Verzura”, un teatrino all’aperto quasi naturale, a pianta ellittica, con due ordini di gradinate in piperno, era delimitato da una bassa siepe di mirto. La scena era formata da quinte arboree sfalsate fra di loro per consentire l’entrata e l’uscita degli attori. Insomma una architettura verde. Vicino al teatrino della Verzura furono concentrate piante di camelie, da poco introdotte in Italia, che nel periodo della fioritura, tra febbraio e marzo, disegnavano un tappeto multicolore.
Tra i numerosi arredi architettonici all’interno del parco, in gran parte asportati, semidistrutti, si ricorda la fontana in marmo bianco, raffigurante i simboli dell’amore coniugale, Eros ed Imene, più Ferdinando e Lucia, rappresentati come Bacco e Flora tra due corone intrecciate.
Niccolini realizzò, inoltre, come si legge nei disegni di allora, strutture, quali:“la grotta dei leoni, il padiglione della pantera, la grotta degli orsi, il recinto dei kangarou”. I kangarou erano 18, allora animali sconosciuti, immessi nel parco nel 1819, barattati da Ferdinando, come ci racconta lo sdegnato Pietro Colletta, con l’Inghilterra, con altrettanti papiri non ancora svolti, trovati negli scavi di Ercolano. Per il divertimento degli occupanti e degli ospiti, nel parco furono introdotti animali di ogni tipo, uccelli di specie esotiche, cigni, pavoni, fagiani, cervi, caprioli, asini, tutti che vagavano liberi per i prati, ma anche bestie feroci. Gli animali feroci creavano talvolta problemi, come quando scappò un leone dalla gabbia, spaventando Lucia che seguì con trepidazione la cattura dall’alto della palazzina. Dopo decenni andava ancora in giro un guardiano di quegli anni, un tale Mantiello, che mostrava il braccio destro lacerato dalle unghie di una tigre. Nella Floridiana è ancora visibile un monumentino commissionato da Lucia all’architetto Niccolini per la sua cagnolina, Moretta. Giandomenico Vespoli nel 1825, scrive: “Nel mezzo del bosco s’erge un semplice ma grandioso sarcofago. Esso raccoglie le ceneri della cagnolina Moretta, modello un giorno di fedeltà e di placidezza: l’amore e la gratitudine hanno consacrato alla di lei memoria un monumentino bastante ad eternarla fama”.
Ferdinando e Lucia godettero della villa solo per qualche anno . Ferdinando morì il 4 gennaio del 1825. Lucia, “dopo lunga e penosa malattia che cominciò con l’essere colica biliosa ed è finita con l’essere colica infiammatoria”, lo raggiunse il 26 aprile del 1826. Alla morte di Lucia, l’estesa proprietà messa assieme da Ferdinando, fu divisa tra i figli che Lucia aveva avuto da Benedetto Grifeo. Il tempietto in stile pompeiano fu ereditato dal principe Luigi Grifeo, il quale rinominò la sua proprietà “Villa Lucia”, per ricordare la madre. Villa Lucia fu separata dall’attuale Floridiana con un muro che ancora oggi divide le due ville. Oggi Villa Lucia è un condominio. La palazzina residenziale della Villa Floridiana, sorta ai tempi di Lalò, poi rimaneggiata dal Saliceti ed infine sistemata nelle forme definitive dal Niccolini, fu ereditata dalla figlia minore, Marianna. Oggi ospita uno dei più importanti Musei d’Italia di arti cosiddette minori, il “Museo Nazionale della Ceramica Duca di Martina”, aperto al pubblico il 10 giugno del 1931. Sulla storia d’amore di Ferdinando e di Lucia Migliaccio calò inesorabilmente il sipario, ma la Villa Floridiana, ancora lì, eternerà nei secoli la loro bellissima storia d’amore.
Ersilia Di Palo
Commenti
No Banner to display
“Ponte di via S. Giacomo dei Capri: i soldi ci sono”
Aldo Masullo riceve la cittadinanza onoraria
Napoli Comics chiude i fumetti perdono la casa
Dai principi di Santobono all’Ospedale pediatrico
La moda al Vomero indossa il nastro rosa in favore dell’ Airc.