Il danno da straining
di Adriana Lauri avvocato
Straining è un termine coniato dal dott. H. Ege, esperto nel settore della psicologia del lavoro, che sta ad individuare un disagio lavorativo. Si amplia sempre di più l’interesse per la tutela psico-fisica del lavoratore, in tal senso la Suprema Corte con sentenza n. 7844 del 29 marzo 2018, ha riconosciuto il cosiddetto danno da straining come danno non patrimoniale, cioè come violazione del diritto a svolgere una vita lavorativa normale e ad esprimere la propria personalità sul luogo di lavoro. Si tratta di una forma attenuata di mobbing, cioè una sorta di persecuzione non continuata ma sempre nociva per il lavoratore sottoposto a stress sul posto di lavoro, infatti la vittima (lavoratore) subisce da parte dell’aggressore (lo strainer) a cui è subordinato, almeno un’azione ostile e stressante, sempre in maniera discriminante con effetti negativi nella sfera personale e lavorativa. Lo straining, sebbene abbia la stessa natura del mobbing, si differenzia da quest’ultimo poiché gli episodi avvengono isolatamente e in numero ridotto, pertanto viene meno il carattere della continuità nel tempo delle azioni vessatorie, tipico del mobbing.
Un esempio di straining è il demansionamento o il trasferimento conseguente ad una sola azione i cui effetti sono però duraturi nel tempo. Si tratta di un tipo di stress superiore rispetto a quello derivante dalla natura stessa del lavoro e dalle normali interazioni organizzative; esso infatti è diretto nei confronti di una o più
destinatari in maniera intenzionale e con lo scopo preciso di provocare un peggioramento permanente della condizione lavorativa.
Tale azione produttiva di danno all’integrità psico-fisica del lavoratore, giustifica la pretesa risarcitoria fondata sull’art. 2087 c.c. secondo cui “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Con la recente pronuncia, la Corte di Cassazione, ampliando l’ambito di applicazione della norma ritenuto non più circoscritto al solo campo della prevenzione antinfortunistica in senso stretto, ha fornito un’interpretazione estensiva dell’art. 2087 c.c., costituzionalmente orientata al rispetto di beni essenziali e primari quali sono il diritto alla salute, la dignità umana e i diritti inviolabili della persona tutelati dagli art. 32, 41 e 2 della Costituzione.
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