Il breve destino di Bernardo Cavallino maestro di teatralità e di luce
di Camilla Mazzella laureata in Studi storico-artistici
Si arrampica faticosamente verso la zona ospedaliera la strada che porta il nome di Bernardo Cavallino. Siamo nell’area più alta della collina del Vomero dove un tempo i napoletani andavano alla ricerca delle tipiche trattorie e, d’estate, di una boccata d’aria fresca. Bernardo Cavallino, napoletano (nato nel 1616 e morto probabilmente a quarant’anni, durante la peste del 1656) e della sua breve attività sappiamo piuttosto poco. La sola fonte resta il suo biografo e critico del Settecento Bernardo De Dominici il quale, tra realtà e fantasia, ci da le poche notizie che abbiamo. Qualche altra l’abbiamo ricavata da documenti d’archivio.
Dotato di un’eleganza formale e compositiva sulla scia di Massimo Stanzione alla cui bottega si sarebbe formato (ma pare anche in quella di Aniello Falcone) Cavallino ebbe scambi con diversi pittori della sua epoca da Andrea Vaccaro a De Bellis ad Artemisia Gentileschi. Le opere del Cavallino esordiente risalgono forse alla metà degli anni Trenta del Seicento a partire dal “ Martirio di San Bartolomeo” del Museo di Capodimonte all’ “Incontro di Sant’Anna e San Gioacchino “ del Museo di Budapest. Due opere dalle quali si evince come i pittori del naturalismo napoletano (da Ribera a Bartolomeo Passante) abbiano esercitato una forte influenza su di lui. Cavallino trattò anche temi biblici come il “Ritrovamento di Mosè” del Museo di Braunschweig. E la caratteristica di questi dipinti va ricercata soprattutto nella composizione scenografica, teatrale. C’è sempre insomma una sorta di
impostazione come se i personaggi fossero messi in scena: questo perché l’attività teatrale che era spesso seguita dagli artisti influenzava anche la rappresentazione pittorica. In alcuni dipinti di piccole dimensioni dei primi anni Quaranta si evidenzia invece l’interesse per la luce, influenzata dalla corrente della Scuola Veneta nel nostro Sud. Oggi vengono attribuiti a Cavallino circa 130 dipinti a fronte degli 80 elencati nei cataloghi meno recenti. Di questi soltanto uno è firmato e datato 1645, “La Santa Cecilia in estasi” per la Chiesa di Sant’Antonio da Padova a Napoli e ora conservato nel Museo di Capodimonte. Nel suo genere l’opera è considerata un capolavoro, non estraneo all’esaltante bellezza della pittura di Van Dyck. Napoli, piuttosto distratta in fatto d’arte, non ha mai sufficientemente onorato (ma direi indagato) un pittore del respiro di Bernardo Cavallino. Anche se i maggiori musei (Capodimonte) e molte chiese offrono eccellenti prove della sua ricerca, sia sul piano della pittura d’ambiente (teatralità che in quella esaltante del sapiente uso della luce. Ma forse l’essere uscito di scena ad appena quarant’anni, ha pesato non poco sul destino del pittore.
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