Gino Strada, il pacifismo non è per tutti
Intervista al fondatore di Emergency
“Nelle scuole bisogna portare le foto crude della guerra”
Qualche giorno fa si è chiusa la sedicesima edizione di “Scala incontra New York”, la rassegna culturale internazionale, ideata e realizzata da padre Enzo Fortunato, nel più antico comune della costiera amalfitana. Tra gli appuntamenti più importanti, la tavola rotonda “Identità comunità e territorio”, con interventi, tra gli altri, del presidente di Confindustria Vincenzo Boccia e del presidente di Coldiretti Ettore Prandini. La giornata clou è stata l’ultima, con l’incontro aperto al pubblico “Parole e gesti di pace” a cui hanno preso parte, tra gli altri, il fondatore della Ong Emergency, Gino Strada, chirurgo che da trent’anni vive in prima linea per salvare i feriti di tutte le guerre. Il tema di questa edizione è stato il “grande desiderio di pace e armonia presente nel cuore dell’uomo”.
Strada, come comunicare il desiderio di pace senza cadere nel luogo comune?
«Innanzitutto bisogna crederci sinceramente, non per moda».
Ossia?
«Essendo realisti. Rendendosi conto che la pace è condizione indispensabile per la continuazione di questo mondo, di questo esperimento umano. È difficile farlo capire perché va a cozzare con una serie di sentimenti e comportamenti opposti alla pace, l’avidità, la sete di potere, di conquista, di ricchezza. L’opposto di pace, la guerra, nasconde un nocciolo di significato che spesso tralasciamo, colpevolmente».
Quale significato?
«Le guerre non sono mai state dichiarate dai popoli, ma dai ricchi e dai potenti, che mandano i figli dei poveri a combattere e morire.
Ragionare su questo presupposto può aiutare a comunicare il marcio di ogni guerra, nessuna esclusa, neanche quelle che vengono spacciate come giuste, necessarie, sante. Ossimori raccapriccianti».
Parlare di guerra oggi è diverso rispetto a dieci o venti anni fa?
«Siamo in un mondo in cui un pazzo al potere, e ce ne sono in giro, se schiaccia un pulsante può scatenare catastrofi che l’umanità non ha mai sperimentato. Lo dicono gli scienziati, gli esperti, non idealisti dell’ultima ora. Ecco, parlare di pace significa far capire che oggi la guerra non possiamo più permettercela. Poi ci sono le guerre che non si combattono con le armi».
Quelle commerciali?
«Al di là delle guerre commerciali, le più invisibili, per me l’ultima forma degenere che ha preso la guerra è stata quella contro i migranti. Una guerra che stiamo combattendo anche nel nostro Paese. Non volano bombe, non si alzano missili, ma di morti se ne fanno, e parecchi».
Come influenzare i potenti della terra che si dimostrano guerrafondai?
«Ci sono le elezioni per punirli. La prima dichiarazione di ogni politico dovrebbe essere la sua posizione rispetto alla guerra. Dirsi se è alieno o no da questa tentazione, ossia che non vi cederà mai. Non basta dirsi pacifisti, io per esempio non mi sento pacifista».
Come è possibile?
«In Italia ho assistito a tanti cortei di politici e gente comune che sfilavano inneggiando al pacifismo, per moda o per apparire migliori di quello che erano. E poi magari in Parlamento quel deputato votava la guerra e quel pacifista con la sciarpa arcobaleno al collo, davanti alla televisione, esultava per un massacro. Bisogna dire di essere contro ogni guerra, di qualsiasi genere e per qualsiasi natura».
L’orrore della guerra come si può comunicare?
«Andando in tante scuole e mostrando le fotografie dei massacri. Bisognerebbe introdurre libri di testo scolastici di educazione alla pace in cui si racconta la guerra, con testimoni che l’hanno vissuta di persona, e pubblicando le immagini più forti di quello che significa saltare su una mina o trovarsi in mezzo a un’incursione aerea. Lo dico con dispiacere, ma credo sia arrivato il momento».
Ugo Cundari
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