DATEGLI UN PALLONE E SOLLEVERÀ IL MONDO
Uno dei principali hobby in Italia è parlare di calcio. Discutere, condividere, litigare per la formazione, la sfortuna, il tifo. Per gli infiniti paragoni. Poi, però, arriva uno che zittisce tutti, con eleganza, con una semplice ed efficace frase: “Io ho visto Maradona!”. Un’affermazione che non ammette repliche e che, in qualche modo rende una comunità tutti coloro che hanno avuto questo privilegio. Una comunità in gran parte composta da napoletani. È per questo che abbiamo chiesto, a chi Maradona non lo ha solo ammirato sul campo di gioco, ma lo ha conosciuto, un ricordo dell’epoca, di quella seconda metà degli anni ’80, ricca di rivincite e trionfi.
“Giudice guarda questo piede”, così Maradona si rivolge a Bruno D’Urso, magistrato in pensione, ex presidente dei Gip di Napoli, che all’epoca lavorava per l’ufficio indagini della FIGC. “Mi dava del tu – dichiara D’Urso – ci siamo incontrati in gran segreto per un interrogatorio sulle possibili ingerenze della camorra sulla vittoria dello scudetto del Napoli e lui mi ha mostrato quel piede martoriato, con una placca di metallo e tante cicatrici, segno di un calciatore al quale era quasi impossibile togliere il pallone”. “Lo scudetto non ce lo toglie nessuno, non si preoccupi, voglio far gioire la gente, il popolo”, così Maradona rassicurò il magistrato, negando ogni tipo di pressione della malavita. Mantenne il suo impegno: regalò il primo scudetto della storia al popolo napoletano nella stagione 1986-87. Da quel momento nacque un rapporto di fiducia. Tanti incontri, allo stadio o al centro sportivo di Soccavo. “Nel corso di uno di questi incontri – prosegue D’Urso – Diego mi presenta ad un giocatore piccolo come lui e mi dice: ‘lo conosce questo piccoletto? Oggi è il suo compleanno e gli ho regalato una cravattina con la molla’. Il piccoletto era Gianfranco Zola, che insieme a lui contribuì alla conquista del secondo scudetto azzurro”. Era spesso in vena di scherzare. “Per i campionati del mondo di Italia ’90 ebbi l’incarico di responsabile della sicurezza dell’Argentina. Durante gli spostamenti in pullman doveva sempre mettersi davanti, al primo seggiolino, a dorso nudo, con la fascia di capitano per salutare la gente, voleva fare sempre lo stesso percorso. Un giorno mi disse ‘devi venire sempre con noi perché mi porti fortuna’.” “Quando ho saputo della sua morte mi sono reso conto che un pezzo della mia vita era andato via per sempre. Ho dovuto interrompere il lavoro e fermarmi a pensare, con malinconia, ad un passato fatto di imprese e successi, che oggi non c’è più”, conclude D’Urso.
Antonello Perillo, attuale Caporedattore del Tgr della sede Regionale della Rai, associa Maradona al miglior periodo della sua vita. “Ho avuto la fortuna di conoscerlo bene, eravamo praticamente coetanei – racconta Perillo –, ho un nitido ricordo dello straordinario fuoriclasse, il più grande di tutti, ma anche del ragazzo, perché era un buono, generosissimo”. “Ricordo un’affollatissima conferenza stampa a Soccavo, quando nel 1989, rientrò dall’Argentina. Annunciò che non avrebbe parlato con nessun giornalista, andava in silenzio stampa”. “Poi, però, accadde una cosa che porterò sempre nel mio cuore, mi guardò, mi indicò e disse: ‘parlerò solo con uno di voi, con te’. Ero proprio io. Ero stato scelto come unico interlocutore di Maradona con la stampa”. All’epoca Perillo lavorava per Canale 8, ma divenne il centro di tutte le attenzioni di tv e quotidiani, locali e nazionali. Per avere notizie di Maradona bisognava parlare con lui. “Divenni famoso senza nemmeno sapere il perché. Glielo domandai: Diego perché hai scelto me? ‘Perché tu sei giusto – rispose – non parli mai con cattiveria’. Non eravamo amici, lo conoscevo da giornalista, ma lui ha puntato su di me”. Perillo vuole soprattutto evidenziare che Maradona era molto più buono di quanto si potesse immaginare. “Un giorno andai in un orfanotrofio di Posillipo per realizzare un servizio – racconta -, vidi molte maglie, palloni, pantaloncini del Napoli, appesi al muro, riposti negli armadi. Molti di questi oggetti erano autografati da Maradona. Domandai come mai ci fossero tutti quei cimeli. In gran segreto ricevetti questa risposta: ‘ogni giovedì sera viene Diego, lo facciamo entrare nel cortile di nascosto, porta i doni ai bambini e gioca con loro. Non vuole lo sappia nessuno. Il bene si fa, ma non si sbandiera’. Ecco Maradona era anche questo, e oggi si può raccontare”. Ma Maradona era uno spettacolo da vedere anche in allenamento. “Un giorno – prosegue tra i suoi ricordi Perillo – il Napoli si stava allenando in una metà campo a Soccavo. Dall’altro lato c’era un giovane portiere della primavera, Pagotto, che volava da un lato all’altro della porta, parando tutti i tiri degli allenatori. Maradona allora decise di testarlo. Prese il pallone e lo tirò una cinquantina di volte in porta. Tutti tiri in rete, con una precisione maniacale. Una lezione, ma anche un incoraggiamento per la crescita del giovane portiere”, ‘La prossima volta andrà meglio’, disse Maradona. “L’annuncio della sua morte è stato un dolore immenso – conclude Perillo -. Non potevo immaginare che potesse morire a 60 anni, mi sono sentito invecchiare di colpo. Ora viviamo i primi giorni del dopo Maradona.”
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