DARIO CARRATURO LA SCRITTURA AL SERVIZIO DELLA TV
“Quando scrivi per mestiere non smetti mai di lavorare”. A dirlo è Dario Carraturo, sceneggiatore, o meglio story editor, di “Un Posto al Sole”, che vive una sorta di piacevole condanna: essere sempre attenti a tutto quello che ti circonda, alla ricerca di idee e spunti che appaiono quando meno te lo aspetti. “Ascolto sempre con attenzione i racconti di vita vissuta di amici e parenti perché, proprio nelle sfaccettature del vissuto, si nascondono nuove idee, sempre più rare da scovare dopo quasi 20 anni di lavoro”. Precisamente 17. Carraturo, infatti, lavora per la celebre serie TV napoletana della Rai dal 2001.
Quanto è importante l’attualità nel lavoro di uno sceneggiatore?
“Dobbiamo essere sempre aggiornati e conoscere quello che accade nel mondo, ma ad esempio, in un ‘Posto al Sole’ non possiamo raccontarla perché lavoriamo con grande anticipo, tra i 3 e i 6 mesi. Quello che invece facciamo è ‘regolarci con il calendario’, fare in modo che a Natale, ad esempio, ci siano episodi che riguardano quel tipo di festività. Ma magari siamo costretti a girare le scene in estate e non è semplicissimo.”
Oltre all’elemento temporale è molto importante anche quello spaziale. Girate sempre a Napoli?
“In linea di massima sì. Abbiamo anche lavorato in funicolare ambientando però la storia a Roma o adattato la città per ricreare ambienti spagnoli o africani. In un’occasione siamo andati realmente a New York. È stata una bella esperienza, ma dovevamo parlare della maratona e proprio in quell’anno non si disputò. Dovemmo ricrearla fittizia.”
Hai sempre voluto lavorare con la scrittura e la fantasia?
“In realtà ho il diploma di geometra e ho anche lavorato in questo mondo. Mi è servito per capire che non era il mio campo. Così ho iniziato a lavorare in un’agenzia pubblicitaria. È stata un’ottima scuola formativa anche se molto dura e dai ritmi frenetici”.
Raccontaci i tuoi inizi ad un Posto al Sole.
“Inizialmente è stata una scoperta. Non esisteva in Italia una lunghissima serialità e abbiamo dovuto ispirarci ad altre realtà similari straniere. Nell’immediato venivano in mente le soap opera statunitensi tipo ‘Beautiful’, ma ci siamo resi conto che il nostro prodotto era diverso.”
A cosa vi siete ispirati?
“Ci siamo rifatti al modello produttivo australiano, facendo venire in Italia esperti del settore per formare sceneggiatori e registi napoletani. Ricordo una grande concorrenza. Abbiamo lavorato su questo sistema che fonde commedia e dramma e copre tutte le fasce sociali. È stata un’arma vincente per la serie perchè Napoli è riuscita a fornire tutti gli strumenti utili alla riuscita del progetto, dalla caratterizzazione dei personaggi alle ambientazioni. Una vera fucina di idee che ha permesso di trattare i più svariati argomenti.”
È stato anche un modo per promuovere, a livello nazionale, la città?
“Abbiamo ideato anche un personaggio che fa la guida turistica (ndr sorride), quale escamotage migliore per far vedere un po’ delle bellezze di Napoli?”
Come si svolge il tuo lavoro?
“Il mio ruolo è quello di creare storie, mentre un altro gruppo di lavoro si occupa di scrivere i dialoghi in un secondo momento. Siamo costretti ad alternarci perché il lavoro non si ferma mai.”
In pratica niente pause?
“È un impegno immersivo, che non ti permette di fare altro. Anche se ho realizzato un episodio per ‘Che dio ci aiuti’ per RaiUno e alcune storie di ‘Maggie e Bianca’, per bambini. È stato molto divertente e diverso dal mio impegno quotidiano. Ho anche scritto un romanzo di fantascienza, oggi difficile da reperire.”
Quali sono le principali difficoltà dell’essere sceneggiatore di una serie?
“Una delle difficoltà maggiori riguarda la gestione delle storie d’amore. In un film c’è un finale, buono o cattivo, mentre in una serie bisogna pensare sempre al dopo, al suo sviluppo. In alcuni casi siamo stati costretti a decisioni drastiche e ci è capitato di ricevere lettere di protesta sugli sviluppi della vita dei personaggi come se fossero persone reali.”
Come sede di lavoro alterni casa e ufficio?
“Nella maggior parte del tempo lavoro da casa. Spesso la famiglia però non comprende bene i momenti in cui sei impegnato. Cerco di isolarmi, magari con un po’ di musica in cuffia. Così, per chiamarmi, finisce che devono lanciarmi degli oggetti (ndr sorride). Per distrarmi mi piace giocare con lo yo-yo, ma alla fine i lavori di intelletto ti accompagnano sempre”.
Giuseppe Porcelli
Commenti
No Banner to display
“Ponte di via S. Giacomo dei Capri: i soldi ci sono”
Aldo Masullo riceve la cittadinanza onoraria
Napoli Comics chiude i fumetti perdono la casa
Dai principi di Santobono all’Ospedale pediatrico
La moda al Vomero indossa il nastro rosa in favore dell’ Airc.