Corrado Giaquinto, protagonista della pittura del ‘700 europeo
di Camilla Mazzella laureata in Studi storico-artistici
Non può sorprendere che una traversa cieca di via Bonito porti il nome di Corrado Giaquinto.
Non fosse altro che per la diffusa presenza di tutta la grande pittura italiana nella toponomastica delle strade.
Corrado Giaquinto nasce a Molfetta nel 1703 e muore a Napoli poco più che sessantenne. Dei primi anni di vita sappiamo poco e le pagine che gli dedica Bernardo De Dominici, l’estroso biografo dei pittori dell’Italia meridionale, suo contemporaneo, vengono ritenute poco affidabili.
La sua prima formazione si svolge nella città natale presso la bottega di Saverio Porta, modesto pittore locale, poi a Napoli, allora una delle capitali culturali e grande miniera di idee per chi voleva avventurarsi nell’affascinante mondo dell’arte. Sotto la guida di un grande maestro come Solimena, Corrado completa i suoi studi. In realtà alcuni studiosi dell’artista quali De Rinaldis e Amato hanno escluso il tirocinio giovanile presso Solimena mentre altri, come Ferdinando Bologna e Nicola Spinosa, hanno invece riconosciuto che in alcune opere è evidente lo stile del maestro.
L’influenza del Solimena, secondo altri critici d’arte invece, è notevole nelle opere nate tra la fine degli anni venti ed i primi anni trenta, dove la dinamica del panneggio, con lunghe curve sinuose, e un certo tenebrismo ci rinviano alla tipologia dei volti e delle anatomie del maestro.
Desideroso di approfondire sempre di più il suo bagaglio di artista, Giaquinto si renderà presto conto dell’importanza di confrontarsi con altre scuole pittoriche. Così la prima tappa sarà Roma dove, a partire dal 1727, rimane per quasi un trentennio, una lunga stagione durante la quale consolida le sue tecniche pittoriche e perfeziona il disegno e la padronanza nell’ambientazione di una scena, imparando così quegli “squisiti contorni” di cui erano maestri i romani.
Poco dopo il suo arrivo a Roma Giaquinto apre una bottega e si impone nell’ambiente romano anche come frescante. Realizza intanto opere di contenuto teologico, di gusto rococò, e riceve importanti commissioni.
Inoltre, su incarico del re del Portogallo, esegue insieme ad altri pittori romani una serie di pale, per gli altari della cattedrale di Mafra. E sempre nell’area dell’arte sacra, decora il soffitto della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, a Roma, con 3 gradi tele. L’opera richiama “Il Trionfo della fede sull’eresia ad opera dei Domenicani”, affresco eseguito dal Solimena per la volta della sagrestia della Chiesa di San Domenico Maggiore di Napoli. Giaquinto mette poi mano alla volta della cappella del cardinale Ruffo di San Lorenzo in Damaso, dove si nota una semplificazione degli elementi compositivi, piuttosto lontana rispetto alle tele di Santa Croce. Dopo il famoso ciclo di affreschi di San Nicola dei Lorenesi (in cui sono presenti suggestioni del barocco romano) l’artista si impegna nell’esecuzione di tele a olio e affreschi per la chiesa di San Giovanni Calabita.
Concluse le imprese di Santa Croce e della cappella Ruffo Giaquinto è al vertice della celebrità. Roma è stato lo spazio più rilevante per le tante committenze ma questo non lo sottrae al piacere di eseguire “Il trasporto delle reliquie dei santi Eutichete e Acuzio”per la parete sinistra della tribuna del Duomo di Napoli.
Nonostante le grandi dimensioni il dipinto quasi certamente viene realizzato a Roma e poi trasportato per la sua collocazione definitiva. Nel 1753 il pittore viene chiamato dal re di Spagna per ricoprire il posto di “primer pintor de Camera” (pittore di corte) superando così ogni originario confine. La scelta di affidarsi a Giaquinto dipende dal fatto che la sua pittura concilia gli aspetti più significativi dell’arte romana e partenopea, ma anche dall’ammirazione di cui godeva nella penisola iberica, terra dalla quale proveniva il suo migliore allievo, Antonio Gonzales Velazquez. In Spagna intanto comincia a lavorare ai restauri delle pitture di Luca Giordano al palazzo del Buen Retiro. Segue la nomina a direttore dell’Accademia di San Fernando per sovrintendere tutti i lavori in corso nel palazzo. In questi anni si collocano le due versioni della “Giustizia e la Pace”, ora entrambe al Museo del Prado. Le opere di Giaquinto si trovano in Puglia, nella Pinacoteca Provinciale di Bari che reca il suo nome. Molte altre si conservano nella natia Molfetta e come diceva De Dominici “sono sparse per tutta l’ Europa”.
Nel 1762, quasi a coronare una vita di lavoro e di successi, ritorna a Napoli dove stringe amicizia con l’architetto Luigi Vanvitelli che, stimandolo moltissimo, gli affida l’incarico di decorare l’intera sagrestia della chiesa di San Luigi di Palazzo.
La chiesa sarà distrutta agli inizi dell’Ottocento, per il rifacimento di Largo di Palazzo (Piazza Plebiscito) e della costruzione della Basilica di San Francesco di Paola.
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