“Anime Bianche” , un libro scritto da detenute
Una raccolta di scritti strazianti e al tempo stesso poetici e lirici pur nella loro semplicità. Parliamo dei lavori prodotti dal laboratorio di lettura e scrittura “San Sui Ki” del carcere femminile di Pozzuoli, partito nel 2002 grazie all’impegno e alla dedizione delle associazioni “Quartieri Spagnoli”e “Febe”, da sempre impegnate nel sociale. Il carcere femminile di Pozzuoli è il più grande istituto penitenziario femminile dell’intero Mezzogiorno d’Italia e il secondo in Italia dopo il carcere romano di Rebibbia. 215% di sovraffollamento. Un dato che parla da solo. Un record nazionale nella proporzione tra capienza prevista e quella effettiva. La struttura ospita 232 detenute, a fronte di una capienza massima di tolleranza prevista di 116 recluse. Nel carcere femminile di Pozzuoli, dall’ampio cortile centrale alberato ai corridoi luminosi che separano le camerate nell’ala destra della struttura, la luce certamente non manca. A rendere più gradevole la percezione complessiva la posizione del carcere, che domina il golfo di Pozzuoli. Un contrasto forte quello tra la veduta che si gode dalla struttura e gli spazi angusti che si vivono all’interno. «Oltre agli ostacoli di ordine economico e burocratico per i lavori necessari», sottolinea la direttrice dell’istituto Stella Scialpi, «ci sono le difficoltà di avviare politiche di reinserimento e ri-socializzazione delle persone che hanno commesso reati». Ma il piccolo carcere di Pozzuoli in tema di reinserimento, dal 2007, con l’arrivo di Stella Scialpi, di passi in avanti ne ha compiuti. «Mancano anche le risorse umane, ma riusciamo a ovviare grazie all’impegno di tanti volontari», racconta la direttrice, manifestando con un sorriso la sua soddisfazione. «Proviamo ad aprire quanto più possibile l’istituto alle esperienze che vengono dall’esterno». Questo è l’altro volto del carcere femminile, fatto di lavoro, progettualità, impegno. Un volto che comunica rinascita. Un ossimoro quello tra gioia e carcere, un rapporto difficile fatto di negazione reciproca, ma che si può riscrivere attraverso storie diverse, che raccontano di emozioni cresciute tra le mura di un penitenziario. Parlare di emozioni e del loro linguaggio non può non richiamare alla mente il ruolo di primo piano della scrittura, quale strumento di espressione preferenziale. Tra le mura del carcere femminile di Pozzuoli si impara anche a scrivere e comunicare emozioni. Ed è proprio questo l’intento del laboratorio di scrittura “ San Sui ki”, all’interno del quale ha preso vita un progetto ambizioso e di grande spessore umano oltre che di grande impegno. Le detenute sono diventate protagoniste attraverso la stesura di racconti, dal titolo emblematico “ Anime bianche”, una raccolta a cura di Francesca Di Bonito, Maria Gaita (entrambe dell’associazione FEBE), Lina Stanco (dell’associazione quartieri spagnoli) e della scrittrice Matilde Iaccarino, autrice, quest’ultima dell’opera “Quattordici”. E’proprio da questo fotolibro edito nel 2014 da Valtrend editori che ha preso vita lo straordinario lavoro delle detenute, nello stesso anno. I racconti di “Quattordici”, tutti ambientati nell’area flegrea, hanno fortemente coinvolto le recluse che hanno percepito come il dolore, l’indifferenza,la rabbia, la paura, l’impotenza, la solitudine accomunano, anche se in modi e contesti diversi, i personaggi dei racconti con le loro vite. Attraverso la scrittura «diamo voce all’anima silenziosa e battito a un cuore fermo, la scrittura ha dato corpo a pensieri, sentimenti, amarezze,lacrime sorrisi. (…) Abbiamo scoperto che non ci sono anime nere ma bianche e libere. La gioia e la pace bisogna strapparle da dentro», è quanto racconta una delle detenute, ventisettenne e madre di due figli. Un’esperienza che non sarebbe nata senza l’incontro con il testo “Quattordici” di Matilde Iaccarino, insegnante e scrittrice puteolana.
Matilde, come nasce e qual è il senso di questa raccolta “Anime bianche”?
“E’ stato del tutto casuale. Le detenute hanno incontrato prima i miei racconti attraverso la raccolta “ Quattordici” e poi me, o meglio mi hanno conosciuto attraverso le mie storie e poi è nato qualcosa di diverso e imprevisto. Da quei quattordici racconti di vita vera, vissuta, di piccoli e grandi antieroi del nostro tempo, alle prese con dolori, scelte vite da ricominciare, sono scaturite altre storie. I miei personaggi si sono incontrati con le donne del carcere di Pozzuoli, le hanno cercate, incontrate, hanno permesso loro di sciogliere i propri blocchi emotivi. Le mie storie, dalla matrice fortemente intimista, sono state il foglio bianco su cui quelle donne hanno scritto. Da una frase, da un ambiente, da un’immagine sono scaturite decine di storie comuni, vissuti in cui ogni donna può rivedersi, in quel passo sbagliato, in quell’inciampo pericoloso, in quel tormento, ma anche in quelle speranze d’amore e d’affetto che caratterizzano tutta l’umanità”.
Cosa è emerso in questi racconti?
“C’è tanta vita in ognuno di essi, rappresentano una finestra su un abisso nel quale puoi perderti, perché in quelle donne, così diverse da te apparentemente, trovi pezzi di te ovunque. In quelle madri, figlie, amanti, amiche e la loro natura umana esce fuori in maniera forte e violenta dai muri della prigione in cui scontano la pena più dura, quella di perdonare sé stesse per essersi fatte del male”.
Come si sono svolte le attività e qual è stato lo stato d’animo delle detenute durante la realizzazione del progetto, quali le loro paure, le loro angosce, le loro emozioni ?
“Io e le altre curatrici abbiamo seguito passo dopo passo la scrittura dei racconti, che sono autentici, scritti di getto dalle donne del carcere, che hanno dato forma, attraverso i fogli bianchi, alle loro angosce, liberandosene. Si tratta per la maggior parte dei casi di racconti autobiografici. Mettere su carta la propria storia possiede già il germe del riscatto e del perdono innanzitutto personale prima che della società in cui si vive. E’ stata un’esperienza di scambio, mi ha arricchito molto venire a contatto con queste donne sofferenti ma dotate di grande forza e con il loro universo.
Dal tuo punto di vista, Matilde, quanto può essere importante incrementare le attività di recupero all’interno di percorsi di reinserimento sociale nelle carceri, secondo l’art. 27 della Costituzione per cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e a che punto siamo oggi?
“Il carcere femminile di Pozzuoli è all’avanguardia in questo percorso, avendo messo a punto diversi laboratori e attività finalizzate al reinserimento sociale, penso al corso per pizzaiole, alla produzione del caffè Lazzarelle, al corso per gioielliere, a quello di design. Certamente è fondamentale seguire le donne una volta uscite dal carcere quando sarà necessario non abbandonarle e guidarle nell’inserimento lavorativo per evitare che tornino a delinquere e che si generi un circolo vizioso…ricordando sempre che “nessuno è colpevole o innocente per sempre”
Il libro è anche corredato da un progetto musicale delle detenute?
“Il libro “Anime bianche”, Valtrend editore, è corredato da un cd del cantautore Lino Blandizzi, “Nessuno è più diverso”, registrato con le voci delle recluse. L’iniziativa editoriale, oltre a far circolare i pensieri, i sogni e i patimenti delle detenute, intende raccoglie fondi da destinare alle detenute stesse”.
VALENTINA SORIA
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