A Napoli in mostra 80 opere di Mirò
“Desidero che tutto rimanga com’era quando io scomparirò”. Questo l’epitaffio presente nella homepage della Casa Museo di Mirò a Maiorca, isola natale dell’artista, sede della omonima Fondazione.
Da questo anelito spirituale, sembra prendere le mosse l’opera di salvataggio di una parte consistente del lascito culturale dell’artista, che è possibile ammirare dal 25 settembre 2019, al PAN di Napoli, nella mostra: “Joan Miró. Il linguaggio dei segni”. La mostra racconta il mondo fantastico, visionario e creativo dell’artista iberico (1893-1983). Si tratta di uno degli happenings culturali più attesi della stagione autunnale partenopea.
L’esposizione racconta, oltre al percorso artistico di Mirò, la storia di una collezione destinata a un’inesorabile frantumazione, che lo Stato portoghese ha invece preservato, impedendone nel 1994 la vendita da parte dell’allora proprietario Banco Portugues de Negocios. La collezione è solitamente custodita presso il Museo della Fondazione Serralves di Oporto. Presentata per la prima volta, tra il 2016 e il 2017, accolse oltre 300.000 i visitatori. Pittore, scultore e incisore spagnolo, Juan Miró aderì prima al dadaismo e svolse poi un ruolo importante per lo sviluppo del surrealismo astratto. La sua opera si dipana tra Maiorca, la Catalogna e Parigi, dove avvenne la sua consacrazione. Narrava l’artista: “tutto ciò che è spoglio mi ha sempre impressionato. Traggo ispirazione dall’arte popolare. In essa non vi sono nè trucchi nè imbrogli, è una forma artistica che va direttamente al cuore delle cose. Bisogna avere conservato una certa purezza d’animo per emozionarsi di fronte ad essa. Ecco perchè mi piacciono le cose anonime, i graffiti, le espressioni dei volti colti al volo e i gesti delle persone semplici”. Lo stile dell’artista origina da una minuziosa attenzione nei confronti della natura, dal più piccolo sassolino alla magnificenza del sole. In lui convivevano un grande afflato nei confronti di ciò che amava, e una collera feroce, nei confronti di ciò che lo disturbava. Questa dicotomia è spesso visibile nella sua pittura, di cui egli stesso diceva “quando dipingo, accarezzo ciò che faccio”, ma al tempo stesso definiva “selvaggio lo sforzo per conferirgli una vita e una forza espressiva”. In mostra, quadri, disegni, sculture, collage e arazzi, che ricomprendono il lungo lasso temporale della produzione di Miró, dal 1927 al 1986, e raccontano l’evoluzione stilistica dell’artista, che è riuscito a trasformare i diversi elementi materiali che compongono le sue opere in segni visivi, che oltrepassano i limiti cromatici della tela, anticipando i linguaggi comunicativi del Ventesimo secolo.
Marcello Ricciardi
Commenti
No Banner to display
“Ponte di via S. Giacomo dei Capri: i soldi ci sono”
Aldo Masullo riceve la cittadinanza onoraria
Napoli Comics chiude i fumetti perdono la casa
Dai principi di Santobono all’Ospedale pediatrico
La moda al Vomero indossa il nastro rosa in favore dell’ Airc.