Così il Vomero e l’Arenella hanno cambiato faccia
Piazza Vanvitelli è uno dei simboli della movida partenopea ed è la piazza principale del quartiere Vomero. Essa rappresenta una delle mete più frequentate durante il week end, un ritrovo per i giovani di tutta la città ed un’area di collegamento con il centro cittadino, vista la presenza di una stazione della metropolitana e delle funicolari. Da sempre l’immagine di piazza Vanvitelli è una delle più note del quartiere Vomero, con la sua palma centenaria situata al centro della piazza che però è stata rimossa nel 2010 a causa dell’attacco di un insetto comunemente denominato “punteruolo rosso” e sostituita con un albero più sottile tra le polemiche dei residenti, legati, o meglio “affezionati” ormai all’immagine della piazza con una palma. Proprio così, perché i residenti del Vomero sono tra quelli che maggiormente tengono alle sorti del loro quartiere. Il Vomero, infatti, che durante i week end viene “violentato” dall’arrivo di migliaia di persone (soprattutto giovani) che affollano locali e bar, è l’unico quartiere di Napoli in cui si percepisce che i residenti avvertono un genuino senso di appartenenza al rione definendosi spesso “vomeresi” prima ancora che “napoletani”. E non manca, per qualcuno anche un pizzico di vanto nel definirsi vomerese inteso come far parte di coloro che rappresentano “la Napoli bene”, ovvero la Napoli che lavora onestamente, che produce risultati in ogni settore riconosciuti anche all’estero, la Napoli che non finisce sulle pagine dei giornali per fatti di camorra o criminalità. La Napoli che esporta i suoi talenti ed i suoi professionisti affermati. Nel quartiere Vomero, infatti, vivono molti magistrati, giornalisti, medici, commercialisti, notai ed avvocati.
Ai vomeresi piace valorizzare il “bello”, ciò che di buono si riesce a produrre in città ed in particolare nella zona collinare di Napoli. Proprio con questo intento, infatti, nel giugno del 2012 è stato fondato quello che è l’unico mensile di quartiere pubblicato nella città di Napoli: “Vomero Magazine”. Un organo di stampa indipendente che il vomerese legge e segue con grande interesse.
Un giornale che ha riscosso un enorme successo tra i residenti, che scrivono di continuo lettere alla redazione ed inviano i loro contributi sperando di poter rientrare nell’ottica di un giornalismo partecipativo su carta stampata sempre più difficile da vedere oggi con l’esplosione di blog, siti internet e social network in cui ognuno può facilmente offrire il proprio contributo pubblicando contenuti multimediali attraverso il proprio smartphone.
“Vomero Magazine” è un esempio da seguire, oggi, a livello di stampa “stra-locale” dal momento che nel giro di soli tre anni ha attecchito nei cuori dei lettori-residenti meglio di quanto non sia avvenuto per quanto riguarda i quotidiani cittadini. In “Vomero Magazine” vi è la piena partecipazione dei cittadini con l’intento di migliorare la vivibilità di un quartiere che già è tra i migliori di Napoli in termini di qualità della vita. Attualmente il Vomero è una zona residenziale con un’alta densità abitativa e commerciale, che conserva l’immagine di quartiere ameno, ricco ed agiato. Al Vomero, in particolare nelle sue zone pedonali come via Scarlatti e via Luca Giordano, sono presenti molti negozi prestigiosi e frequentati locali notturni, teatri, bar e ristoranti che fanno del Vomero uno dei quartieri più eleganti di Napoli. Il Vomero rappresenta, oggi, uno dei maggiori luoghi di aggregazione della città partenopea per la presenza di aree verdi, strutture sportive e locali pubblici, nonché per l’apertura sempre più frequente di negozi di moda che hanno reso le vie principali del quartiere uno dei centri maggiori per lo shopping. L’area vomerese è piena di locali per la ristorazione, pub e bar in cui è possibile trascorrere un po’ di tempo, consumare un caffè e chiacchierare un poco con amici o colleghi durante la pausa pranzo oppure in serata nell’orario del dopo lavoro. Il Vomero, oggi, è un quartiere residenziale ed ha una conformazione del tutto diversa da quella che vide sorgere la zona collinare di Napoli nell’antichità. Il Vomero, infatti, è nato da una comunità contadina che lavorava la terra distaccata da quelli che erano considerati i “veri” napoletani, coloro che abitavano il centro antico della città. Non a caso ancora oggi, i napoletani quando si recano al Vomero dicono di andare “ ‘Ngopp o’ Vommero”, ovvero “sopra al Vomero” per indicare non solo la differenza di altitudine del quartiere collinare ma anche una differenza esistente tra Napoli ed il Vomero. Con la “riforma del decentramento” del Comune di Napoli deliberata nel 2005, il Vomero con il quartiere confinante chiamato “Arenella” forma la Quinta Municipalità, che con i suoi 120.000 abitanti, è la più densamente popolata della città. Il punto più alto del quartiere è la Certosa di San Martino con 251 metri di altezza ed un panorama mozzafiato che attira ogni anno decine di migliaia di turisti provenienti da tutto il mondo che si mischiano, nel week end, ai tantissimi giovani che affollano le aree pedonali del quartiere. Ma oggi il Vomero non è solo un luogo di ritrovo per i giovani partenopei. Infatti, insieme con il quartiere Arenella, il Vomero rappresenta uno dei principali punti di ritrovo di cittadini dell’Est Europa, che lavorano e vivono stabilmente a Napoli. Secondo i dati in possesso del Comune di Napoli, infatti, nel quartiere Vomero risiedono circa 700 cittadini stranieri (pari a quasi il 5% del totale dei residenti), di essi la maggior parte provengono da Paesi a forte pressione migratoria. Poco più di uno straniero su due è giunto dall’Asia centrale. La comunità più numerosa è quella srilankese, con presenze che corrispondono al 40% del totale di stranieri nel quartiere. Consistente è anche la presenza filippina, (pari al 7%) e quella polacca i cui cittadini residenti rappresentano il gruppo più numeroso tra i provenienti dai Paesi dell’Est europeo anche se negli ultimi anni si registra un calo di presenze di polacchi. Circa uno straniero su cinque, residente nel quartiere Vomero, risulta essere un africano: si tratta prevalentemente di capoverdiani e di somali mentre irrisoria è la presenza nordafricana. Dall’America Latina risulta essere pervenuto il 14% degli stranieri residenti nel quartiere vomerese: si tratta per lo più di peruviani e di brasiliani.
Situazione più o meno simile nel quartiere Arenella, dove il totale dei cittadini stranieri residenti è pari al 3,2% del totale dei cittadini. Le donne rappresentano il 61,4% del totale dei residenti, contro una media cittadina del 51,7%. Coloro che provengono dai soli Paesi a forte pressione migratoria invece rappresentano il 70.1% del totale dei residenti nel quartiere Arenella. La provenienza più diffusa è quella asiatica, ovvero Sri Lanka e Iran mentre uno straniero su cinque residente all’Arenella proviene dall’Europa dell’Est, con prevalenza di polacchi su albanesi ed ucraini. All’Arenella, oggi, è pari circa al 20 per cento degli stranieri residenti la quota di africani, tra i quali c’è però una prevalenza dei capoverdiani e dei somali. Anche le provenienze dall’America Latina sono circa il 20%, distribuite in maniera uniforme tra le varie nazionalità di questo continente.
In epoca romana la collina vomerese era chiamata Paturcium (probabilmente da Patulcius, nome connesso a Giano, il dio a cui la collina era dedicata) e nell’alto Medioevo per corruzione linguistica, Patruscolo o Patruscio. L’attuale nome “Vomero” venne dato a questa zona nel Cinquecento, per indicare un antico casale presente sulla collina e trae origine dalla sua antica vocazione agricola e al gioco del vomere, un passatempo contadino che sanciva come vincitore chi, con il vomere dell’aratro avesse tracciato un solco quanto più possibile dritto. Proprio l’attività legata ai campi e la gran messe di verdure coltivate valsero, per secoli, a questa zona che guarda dall’alto la città di Napoli il soprannome di Collina dei broccoli.
Fino alla fine del diciannovesimo secolo, il Vomero costituiva una periferia pressoché disabitata e lontana dalla città e le sue parti più antiche come, per esempio, l’area di Antignano erano nuclei abitativi rurali, villaggi che sin dai tempi dei Romani sorgevano sulla “Via Puteolis Neapolim per colles” strada che prima dello scavo della galleria di collegamento tra Mergellina e Fuorigrotta costituiva l’unico collegamento via terra tra la zona flegrea e la città. Nel II secolo d.C. la strada fu risistemata e chiamata via Antiniana, da cui prese il nome il rione Antignano, dove secondo la tradizione è avvenuto per la prima volta il miracolo di San Gennaro, tra il 413 ed il 431 d.C..
Successivamente, dopo la dominazione dei Normanni e degli Svevi, con l’arrivo degli Angioini, nel 1266 Napoli divenne capitale rimanendo tale fino all’Unità d’Italia nel 1860. Di qui nacquero nuove esigenze, compresa quella di risalire le pendici della collina vomerese, soprattutto per ragioni strategiche ed ecco che la zona cominciò a popolarsi soprattutto a partire dalla costruzione del Chiostro Certosino nel 1325. Poi, gli Angioini sostituirono l’antico torrione di vedetta (d’epoca normanna) vicino al quale sorse il Chiostro, con il Castello di Belforte, nucleo di partenza del Castel Sant’Elmo mentre l’assetto del restante territorio vomerese rimase tuttavia immutato.Sotto la dominazione degli Aragonesi e poi di quella degli Spagnoli, Napoli andò incontro ad un vertiginoso aumento demografico, dovuto alla forte immigrazione dalla penisola iberica e dal resto del regno. La necessità di allargare il territorio cittadino indusse il viceré Pedro Alvarez de Toledo a dirigere lo sviluppo della città (allora solo pianeggiante) verso le pendici delle colline, rimaste fino a quel momento prive di significativi insediamenti abitativi. Tanta fu la proliferazione di abitazioni in collina che nel 1556 fu varata una legge che vietava la costruzione di nuovi edifici intorno a Sant’Elmo e, nel 1583 stessa cosa si fece anche per quanto riguarda le pendici del colle. Ciò nonostante, nel periodo dei viceré successivi a Don Pedro, l’espansione edilizia seguì, provocando la fusione di innumerevoli borghi fino al punto che anche sulla collina iniziarono a formarsi agglomerati più omogenei, villaggi e casali. Nel Seicento, infatti, nella cartografia della città di Napoli si iniziano a rappresentare le prime costruzioni collinari che sostituiscono il verde presente in precedenza. Durante la peste del 1656, la collina fu utilizzata come rifugio da parte della nobiltà e del clero dal momento che si era affermata la tendenza nell’aristocrazia residente nel centro storico a costruirsi una seconda casa al Vomero, tendenza che si accentuerà nel corso del Settecento soprattutto grazie all’apertura della nuova “strada Infrascata”, ovvero l’attuale via Salvator Rosa. Tra le tante famiglie nobiliari che si stabilirono al Vomero ci sono i Carafa, i Conti di Acerra, i Ruffo di Sicilia, i Cacciottoli ed i Cangiani. Altro “step” importante nella crescita demografica del Vomero si ebbe nel 1817, quando l’area collinare fu promossa al rango di residenza non solo nobiliare, ma anche regale, con l’acquisizione di una villa da parte di Ferdinando I di Borbone, ovvero quella che sarà la futura Villa Floridiana.
Nel 1809, nella nuova divisione amministrativa della città decisa da Gioacchino Murat, tutti i villaggi del Vomero entrarono a far parte della città vera e propria, dapprima nel circondario dell’Avvocata, mentre verso la metà del diciannovesimo secolo l’apertura di Corso Maria Teresa (ribattezzato nel 1860 Corso Vittorio Emanuele) voluta da Ferdinando II, delimitò il confine inferiore del futuro quartiere vomerese. Ma lo sviluppo abitativo vero e proprio del Vomero ebbe inizio verso la fine dell’Ottocento, più precisamente nel 1885, con la fondazione (nell’ambito della legge “per il Risanamento di Napoli” del Nuovo Rione e la progettazione di un tracciato viario a maglia reticolare e schema radiale che applicava i dettami razionalistici in voga in tutta l’urbanistica europea di fine secolo, secondo l’esempio della Parigi del Barone Haussmann. Fin dal primo momento il Vomero venne concepito come un quartiere residenziale destinato alle classi alto-borghesi: le splendide ville e palazzine in stile tardo Liberty che vennero realizzate in gran numero agli inizi del secolo attorno alla Villa Floridiana e verso l’area di Castel Sant’Elmo e di San Martino, costituirono fino alla metà del Novecento il tratto distintivo del nuovo quartiere.
Già prima della legge di Risanamento, inoltre, una banca piemontese, la banca Tiberina, aveva acquistato al Vomero terreni compresi tra San Martino, via Belvedere e Antignano, con l’intenzione di costruirvi un nuovo quartiere (già Garibaldi aveva pensato alle zone collinari come potenziali nuovi rioni, in cui però egli riteneva si dovesse ospitare il proletariato). La posa della prima pietra da parte dei sovrani avvenne l’11 maggio 1885e, il 20 ottobre 1889 il Nuovo Rione venne inaugurato, con l’apertura della Funicolare di Chiaia, cui seguì la Funicolare di Montesanto nel 1891. Fino a quella data, ma ancora per diversi decenni dopo, la vita e quindi la storia della collina vomerese e quella della città di Napoli si sono evolute separatamente. “Vado a Napoli”, “Scendo a Napoli” erano le frasi dei vomeresi per indicare il tragitto verso il centro. Ma, dopo l’11 maggio 1885, il Vomero inizia lentamente a saldarsi territorialmente con la città. Una saldatura che, conclusasi alla fine del Novecento, inevitabilmente significherà importare tutti i problemi irrisolti ereditati dalla storia difficile della città di Napoli. Il primo esempio di costruzioni di tipo “urbano” fu rappresentato dai “Quattro palazzi” di piazza Vanvitelli, edificati all’inizio del ventesimo secolo dalla Banca Tiberina. Dopo l’inizio dei lavori, tuttavia, la scarsa reattività del mercato (dovuta alle difficoltà economiche dell’epoca e ai collegamenti ancora difficoltosi tra la città e la collina) spinse la banca (proprietaria delle aree edificate e delle due funicolari) a cedere nel 1899 i suoi diritti alla Banca d’Italia. Ciò provocò la sospensione per diversi anni delle opere previste dal piano di urbanizzazione (frutto della Convenzione stipulata tra Comune di Napoli e Banca Tiberina). All’inizio del Novecento risultavano, dunque, realizzati (oltre al tracciato della lottizzazione) esclusivamente una parte degli edifici al centro del Vomero (tra piazza Vanvitelli, lungo via Scarlatti e via Morghen). Tutte le nuove costruzioni erano realizzate in stile neorinascimentale, uno stile che a Napoli si protrarrà fino al primo trentennio del Novecento, trascinandosi negli anni i progetti di fine ottocento. La Banca d’Italia, per recuperare i capitali investiti, decise di vendere gli immobili già costruiti e i terreni, e frazionare gli isolati in piccoli lotti più facilmente vendibili. Conseguentemente, nei primi anni del ventesimo secolo non si ebbe un impetuoso sviluppo urbanistico, ma sorse un’edilizia meno intensiva, di villini a due, tre piani, circondati da graziosi giardini; i quali, peraltro, avevano la capacità di valorizzare maggiormente gli aspetti paesistici dei luoghi, rispetto ai grandi edifici umbertini. Il gusto architettonico che caratterizzò il periodo, fino alla metà degli anni Venti fu quello definito “Liberty” unitamente a quello cosiddetto neoeclettico.
La costruzione di piccoli lotti non si arrestò nemmeno con l’arrivo della Prima Guerra mondiale dal momento che professionisti, imprenditori e famiglie ricche erano sempre più interessate ad acquistare ville e case più grandi in cui vivere distaccandosi dal caos del centro cittadino e godendo dell’aria salubre della collina vomerese. Queste famiglie, con le loro esigenze ed il loro modo di vivere, definirono il carattere del nuovo quartiere, dove in questo periodo la vita cominciò a prendere le proprie abitudini, ruotando attorno a piazza Vanvitelli, alle funicolari e alle vie principali di via Scarlatti e via Luca Giordano. Al Vomero, dunque, nacquero due scuole prestigiose, la “Vanvitelli” ed il liceo “Sannazaro”, mentre nel quartiere iniziarono anche a sorgere luoghi di svago e di cultura, come il teatro “Diana”, inaugurato nel 1933 dal principe Umberto, diversi cinema, negozi eleganti, ristoranti, i caffè ma anche cliniche pulite ed efficienti, l’elegante chiesa di stile basilicale paleocristiano di San Gennaro, il nuovo polo sportivo del Littorio. Numerosi, dunque, erano gli artisti: il Vomero di questo periodo è quello che viene descritto con rimpianto nei libri che lo rievocano, quello che ha creato il mito nell’immaginario collettivo, quello della nostalgia, il “Vomero scomparso”, il “Paradiso Perduto”, quello di una realtà unica ed irripetibile.
Qualcosa cambiò con l’apertura della nuova Funicolare Centrale nel 1928, che facilitò gli spostamenti fra il Vomero e il centro cittadino, portando ad un incremento significativo dell’urbanizzazione, che si orientò nuovamente verso i grossi fabbricati, realizzati anch’essi secondo i vari stili allora di moda (dal liberty al neoeclettismo, fino al primo razionalismo). Il nuovo centro abitato si espanse fino a raggiungere e ad inglobare gli antichi villaggi di via Belvedere, ovvero il cosiddetto “Vomero Vecchio” ed Antignano.
Notevole fu il contributo del Vomero alle Quattro giornate di Napoli (27-30 settembre 1943). Fu infatti al Vomero che si registrarono i primi scontri, dapprima nei pressi della masseria Pagliarone (dove un gruppo di persone armate fermò un’automobile tedesca uccidendo il maresciallo che era alla guida), poi al quadrivio tra via Scarlatti e via Cimarosa, ove una motocarrozzetta germanica fu ribaltata provocando la morte dei due occupanti e la rappresaglia tedesca, quindi in varie piazze del quartiere, in particolare in Piazza Vanvitelli (dove una decina di giovanissimi vomeresi usciti da un bar attaccarono tre soldati tedeschi, dopo che era giunta al Vomero la notizia della morte di un marinaio, freddato con un colpo di pistola da un nazista) e nella piazza dell’allora Stadio Littorio (poi rinominato stadio Arturo Collana), chiamata “Piazza Mascagni” e poi ribattezzata appunto Piazza Quattro Giornate. I tedeschi avevano infatti deciso di utilizzare lo stadio come campo di concentramento per gli insorti; i partigiani circondarono il campo e, armati solo di una mitragliatrice antiaerea e poche pistole e fucili, riuscirono a liberare i prigionieri. La sera precedente era caduta l’armeria del Castel Sant’Elmo, non senza spargimento di sangue; i tedeschi infatti, asserragliati anche all’interno della Villa Floridiana intervennero in forze a dar battaglia.
Il liceo Sannazaro divenne luogo di incontro e di coordinamento della Resistenza e proprio qui il professore Antonio Tarsia in Curia, il 30 settembre 1943, si autoproclamò capo degli insorti assumendo pieni poteri civili e militari. È nella palestra di questo stesso liceo che i corpi dei caduti delle Quattro giornate furono trasportati per la commemorazione. Oggi nel quartiere sono poste, a memoria degli eventi, tre lapidi: sulla facciata del liceo Sannazaro, accanto all’ingresso della caserma dei Carabinieri a Piazza Quattro Giornate, e la terza, probabilmente la più importante, in Via Belvedere di fronte all’antico ingresso principale della masseria Pagliarone ove nacque la prima rivolta.Una battuta d’arresto nella fioritura del Vomero come paradiso verde in cui rifugiarsi, si ebbe nel secondo dopoguerra, quando la speculazione edilizia ed una crescente richiesta di costruzione di edifici residenziali portarono alla distruzione di molti giardini e villini antichi o in stile Liberty. Col passare degli anni, il Vomero si è configurato sempre più come quartiere alto-borghese, arrivando ad inglobare l’Arenella e spingendosi fino alle pendici della collina dei Camaldoli, registrando anche dei veri e propri scempi edilizi, come la famosa Muraglia Cinese di Mario Ottieri in via Aniello Falcone oppure i palazzi costruiti in via Caldieri.
Ancora oggi, il quartiere conserva molti esempi dell’architettura originaria, che costituiscono un patrimonio per tutta l’architettura italiana ed inoltre è ancora possibile osservare, oltre ai monumentipiù famosi, costruzioni storiche, quali alcune delle più antiche ville nobiliari come Villa del Pontano, Villa Belvedere, Villa Regina, Villa Lucia, Villa Haas, Villa Presenzano, Villa Ricciardi, Villa Leonetti e Villa Salve. Ad Antignano, invece, vi è un antico edificio del dazio borbonico, dove si legge su una pietra l’iscrizione “Qui si paga per gli regj censali” che fa da sfondo all’attuale ed affollatissimo mercatino di frutta, verdura e pesce.
La costruzione della Linea 1 della metropolitana di Napoli ha contribuito non poco a snellire il traffico delle automobili da e per le vie di accesso alla collina vomerese, rendendo ancora più agevoli i collegamenti con il centro storico e con altri quartieri cittadini come quelli della periferia Nord di Napoli. Il Vomero, come le zone del centro città non chiuse al traffico veicolare, essendo una zona in gran parte commerciale e allo stesso tempo ad alta densità abitativa è uno dei quartieri più trafficati della città. Nonostante ciò, o forse proprio per contrastare questo fenomeno, mantiene un’isola pedonale ventiquattro ore su ventiquattro e sempre piena di cittadini e di turisti, come anche le sue adiacenze, grazie anche ai numerosi luoghi di ritrovo che attirano, soprattutto nei fine settimana, persone di tutte le età.
ALESSANDRO MIGLIACCIO
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