Personaggi vomeresi: Giovanni Panza
Spesso il dualismo si riscontra in tante attività umane, ma quando si tratta di eletti dal destino, ad espletare forme d’arte, ecco la fatale simbiosi che si verifica in personalità che sin dalla tenera età, rimane costante evidenza nel vissuto del destinato come lo è stato Giovanni Panza, nato e vissuto nel particolare ed ammaliante humor amniotico familiare quando “nelle sue vene scorreva acqua ragia e non sangue”.
Terzo figlio di sei, di Enrico Panza e di Filomena Postiglione, nacque a Miseno il 9 marzo 1894, dove, da Napoli, i genitori, per essere vicini ad un loro figlio che lavorava al silurificio di Baia, si stabilirono nei pressi, a Monte di Procida.
Già in quella “temperie” (termine amato ed usato spesso dal critico Mario Balzano nelle sue toccanti espressioni di coinvolgenti atmosfere), visse i primi passi assaporando la malia di un’epoca magica in quei luoghi marini pregni di commovente clima di “afrori marini”, dai pacati dondolii di barche e pescherecci che gli condizioneranno la sua futura e prolifica produzione di dipinti, poesie e canzoni.
Sin da giovane, restio alle discipline scolastiche, egli si istruì documentandosi da appassionato autodidatta, in particolare nella lettura di classici formativi : Zola, Verga, Hugo, Daudet, Sthendal, De Maupassant, e, quando, introdotto nelle prestigiose presenze familiari degli zii Salvatore e Luca Postiglione, famosi ed affermati pittori di un’epoca romantica, ebbe la ventura di respirare gli afflati di Benedetto Croce che tesseva elogi a Salvatore – morto quarantacinquenne – che, tra l’altro, aveva eseguito pregevoli affreschi in ville principesche e chiese, la volta del Duomo di Nola e nella villa dell’imperatrice dAustria a Corfù. Questo, ricordava con particolare commozione quando nominava artisti antenati, Luigi, pittore alla corte Borbonica, Raffaele, Presidente dell’Accademia di B.B.A.A. di Napoli, quindi gli zii Salvatore e Luca, che intravidero in Giovanni, un appassionato e promettente artista, quale attento osservatore, quando lo facevano assistere ai loro lavori nel ripetergli che “l’arte non si insegna ma si impara”. Il talento del giovane Panza non sfuggì all’attenzione di Salvatore Di Giacomo, assiduo frequentatore della sua famiglia che lo gratificò con affettuose pacche in beneaugurante incoraggiamento alle sue già notevoli doti d’artista, insieme alle frequenti e prestigiose presenze di Libero Bovio, Ernesto Murolo, Pasquale Ruocco, Ettore De Mura, Nicola Valente, Ferdinando Russo, Alfredo Schettini, Carlo Nazzaro, i fratelli De Filippo, Raffaele Viviani e di tanti altri che lo accompagneranno nella sua lunga vita d’artista, come ebbe in seguito a sottolineare il caro amico Mario Balzano, quando Giovanni Panza ha avuto la buona sorte di vivere e respirare con grandi poeti, letterati e pittori della sua epoca e non, chi come tanti altri che si sono dovuti accontentare di testimonianze solo sfogliando libri e biografie.
Panza da giovanissimo riprendeva i plein-air luoghi e tipi, dai Camaldoli, alla allora incontaminata campagna della Pigna, del vico Acitillo di un’era immortalata da Casciaro, Pratella, Migliaro, Cifariello, e delle odorose rive del mare di Napoli.
Egli si arruolò poco più che ventenne quando l’Italia scese in guerra, e nel giugno del ’18, con ardita sortita, in prima linea, con una modesta artiglieria sbaragliò una postazione nemica guadagnandosi la promozione con Croce al Valor Militare ed il titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto. Ed, in tali frangenti, al fronte, durante le snervanti attese in trincea, creò toccanti versi musicati poi da valenti compositori.
Al ritorno intraprese con forte vigoria a dipingere e negli anni ’20 fece la sua prima Personale, dallo scontato successo, con peculiare amore per gli impressionisti dai quali trasse la coloristica complementare che divenne sua particolare caratteristica. Le richieste divennero pressanti, alle quali Egli, grazie alla passione, teneva egregiamente testa. La sua instancabile attività eccelleva anche con scritti, elzeviri, racconti e poesie musicate dal nipote Enrico, pianista e compositore, con il quale, ad evitare grotteschi e comici fraintendimenti, i testi venivano etichettati con il pseudonimo di Giovanni da Miseno per i versi, e di Enrico Panza per la musica, omonimo di suo figlio al quale sono dovute alcune note familiari.
Giovanni era conteso da Associazioni, Circoli, Sedi, Salotti per la sua importante e prestigiosa presenza, e chi scrive ha avuto il piacere d’incontrarlo spesso al famoso e familiare Salotto di Salvatore Tolino, fucina di eventi artistici, letterari e musicali, insieme a Giovanni De Caro, Armando Ponsiglione, Mimì Romano, Lello Lupoli, Gennaro Ottavo, Maria Pantano, Ada Sibilio Murolo, Mario Fùrnari, Augusto Crocco, Mario Balzano, Franco Ricci, Alberto Amato, Roberto Murolo, Carlo Croccolo, i fratelli Giuffrè, Peppe e Concetta Barra, Pironti e tantissimi altri. Interveniva alle mie Personali di pittura; si compiaceva, incoraggiandomi con stima e dove costantemente mi ripeteva: “ Mimì, i lavori non si regalano, si vendono!” Questo suo pensiero mi sconcertava, ma poi il tempo gliene ha dato assoluta ragione, poiché egli asseriva che il regalo ne sminuiva il valore, mentre l’acquisto, anche se di modesta entità, ne esaltava l’importanza. (Beata esperienza!).
Nella simpatica consuetudine d’incontri egli appariva arzillo e ben curato dalla sua veneranda età di novantenne, annunciato dal fresco odore di lavanda – profumo prediletto- , da foulard di seta, un fazzoletto di candida batista nel taschino, e l’immancabile fiore all’occhiello di giallo porporino di fresia o di un modesto, anonimo fiore di campo. Dallo studio del C.V.E. passò in via Luca Giordano ed infine a via Solmene, lasciando la sua tavolozza ai posteri per andare a dipingere le stelle il 20 dicembre 1990. Tra le numerose commemorazioni e ricordi, ebbe recentemente un altro toccante omaggio nell’affollatissimo Circolo Posillipo con proiezioni di suggestive immagini raccontate dal prezioso intervento canoro di Nora Palladino e dall’ineguagliabile Giulio Mendozza che, nella sua doviziosa esposizione del Maestro, ebbe a regalarmi una commovente nota nel qualificarmi munificamente, con generosa affermazione, ultimo erede pittorico del panorama artistico napoletano, particolarmente, vomerese.
MIMMO PISCOPO
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