Nel quartiere ora regna il “food”
Al Vomero, la maggior parte degli investimenti commerciali alle attività culturali lascia ben poco spazio. Il quartiere ospita 42 pizzerie, 54 pub, più di 30 rosticcerie e un centinaio di bar. Se si ha voglia di qualcosa da mangiare, si ha l’imbarazzo della scelta. Qualora, invece, si desiderasse assistere gratis ad uno spettacolo teatrale, o sorseggiare un tè davanti ad un buon libro, sarà necessario spostarsi in un altro quartiere. O in un’altra città. Sono da ammirare le iniziative poste in essere dall’unica biblioteca e dalle poche librerie sopravvissute nella nostra municipalità. Bisogna, tuttavia, ammettere che questa, quanto a ritrovi giovanili di carattere culturale, è lontana anni luce dal resto d’Italia. Si pensi al Giufà libreria café di Roma, specializzata in narrativa straniera, alla quale rapportarsi degustando bevande equosolidali; o al Crazy Cat café di Milano, dove si può fare la stessa cosa, ma accarezzando il proprio gatto. Quali sono le ragioni per cui, al Vomero, soluzioni simili non esistono? I consiglieri di circoscrizione Gianpaolo De Rosa e Luigi Felaco osservano come, in passato, il quartiere sia stato oggetto di una significativa opera di costruzione da parte dell’edilizia privata. Questa avrebbe sottratto numerose aree dalla disponibilità comunale, impedendo la nascita di luoghi dove i giovani potessero, gratuitamente, accedere a contenuti artistico-letterari o esprimere il proprio talento. Entrambi i consiglieri si dichiarano speranzosi circa l’apertura dello stabile di via Verrotti, destinato a divenire un centro polifunzionale per giovani, e per la ristrutturazione del quale la Giunta comunale ha, finalmente, approvato lo stanziamento di 360.000 euro. Per il settore pubblico, le motivazioni stanno, quindi, nella mancanza di spazi comunali e nei finanziamenti che non arrivano mai. Ci si domanda, allora, perché nel privato, gli investimenti, specialmente da parte dell’imprenditoria giovanile, si concentrino prevalentemente nella ristorazione. Il sociologo Bruno Acconcia considera il fenomeno diretta conseguenza di una volontà politica. Questa, infatti, non è interessata ad investire nella preparazione dei giovani, perché li renderebbe pronti ad accedere ad un mondo del lavoro che in Italia non esiste; quindi, con le sue scelte, contribuisce all’appiattimento culturale del nostro Paese. E ciò non può che rendere i ragazzi sempre meno stimolati a promuovere attività istruttive; subordinati all’egemonia della precarietà, vengono così attratti dagli apparenti ampi margini di profitto della ristorazione. Eppure, la domanda per luoghi di incontro formativi è elevata: e a dirlo sono proprio i giovani. Chiara, studentessa di 22 anni, vorrebbe una biblioteca più ampia, dove consultare manuali e fare ricerche. Francesco, 27 anni, desidererebbe un posto dove esibirsi gratuitamente in concerto. Antonio, universitario di 24 anni, studierebbe volentieri in un luogo che concili il rigore di un’aula studio con la promozione di iniziative artistiche. Non possiamo che auspicarci che i loro desideri si esaudiscano al più presto. Ricordando che inaridire la curiosità di un giovane è destinare la società tutta alla siccità intellettuale.
CHIARA PIZI
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