Intervista a Carlo Buccirosso “Napoli senza talenti”
Dopo il grande successo di pubblico registrato durante le vacanze natalizie, dal 13 al 24 aprile è tornato a grande richiesta al Teatro Diana lo spettacolo “Il divorzio dei compromessi sposi”, scritto, diretto e interpretato da Carlo Buccirosso. Liberamente tratto dall’opera di Alessandro Manzoni, la commedia è la nuova edizione de “I compromessi sposi”, consolidato successo che nove anni fa fece avvicinare per la prima volta l’attore all’opera manzoniana. Un romanzo storico che Buccirosso rende incredibilmente attuale, tra sarcasmo, battute e ironia in scena sono portati i problemi di tutti i giorni che affliggono ognuno di noi.
I personaggi non sono come gli originali, il Don Rodrigo interpretato da Buccirosso, infatti, è un usuraio campano emigrato sulle rive del Lago di Como. Viene accompagnato dai due bravi che, invece di incutere timore, appaiono goffi e cialtroni. Lucia è una giovane svampita, Renzo uno irascibile. Sul palco anche Rosalia Porcaro nei panni di Agnese, la mamma di Lucia. Tra risate, balli e canzoni famose, riadattate per l’occasione con nuovi testi comici, si intrecciano dialetti che vanno dal napoletano al fiorentino. Due ore piene di divertimento che lasciano spazio alla riflessione. Ma è lo stesso Carlo Buccirosso ad averci parlato dello spettacolo e a raccontarci di sé.
“Il divorzio dei compromessi sposi” è una riscrittura del consolidato successo “I compromessi sposi”. Come nasce la scelta di un nuovo adattamento e cosa c’è di diverso?
“La nuova edizione dei Compromessi nasce da un’esigenza in me consueta di rivedere e riallestire testi da me scritti, anche per esplicita richiesta di numerosa parte del pubblico più affezionato. Il testo in questione, pur mantenendo una sua insita attualità, si è avvalso di una scrittura più matura e coraggiosa, con la quale ho inserito sei canzoni nuove, scenografie rinverdite con ampi esterni, di ambienti interni nuovi, di numerose situazioni inedite, di dialoghi riveduti e corretti, di un finale nuovo, e ciò che più conta, di una compagnia nuova per il 70 per cento, ed un corpo di ballo e di cantanti scelti ad hoc per questa edizione, provenienti dai musical italiani della migliore tradizione. Questo, anche per rispondere ad un paio di “spettatori distratti”, o in mala fede, che hanno detto che in sostanza era la stessa edizione di sette anni prima!”.
Come mai la scelta dell’opera di Alessandro Manzoni?
“Ho scelto anni fa l’opera manzoniana perché l’ho sempre trovata pesante, e mi è venuta una gran voglia di renderla più leggera, con una satira che tuttavia non tradisse ignobilmente i grandi valori in essa contenuti”.
La sua versione non poteva che essere comica, arricchita di musica e balli, ma quali sono gli aspetti satirico-farseschi? “La satira è sicuramente nell’esasperazione dei caratteri dei singoli personaggi, che ciò nonostante, risultano poi credibili per una recitazione sempre e comunque realistica, e la farsa è sicuramente nella trama riveduta e corretta, con Don Rodrigo impegnato a prestar danaro con gli interessi, e con l’Innominato a ricoprire il ruolo del “padrino”, che tiene sotto scacco Don Rodrigo e i suoi bravi, facendo loro credito, quando gli stessi sono a corto di danaro…tutto il resto è l’essenza di un Manzoni musicale, moderno e nei limiti del possibile, attuale!”.
Come nacque il suo desiderio di fare l’attore?
“È sempre stata una vocazione, in qualche modo poi incoraggiata da un cugino di papà, mio zio di secondo grado, già bravo e famoso prima di me, Sergio Solli, che in qualche modo mi iniziò al mestiere, poi il resto l’ho fatto io negli anni”.
Ci fu un attore che prese a modello prima di intraprendere la sua carriera artistica?
“No, nessun attore di cinema, perché quelli italiani da adolescente non mi hanno mai entusiasmato, a parte Giancarlo Giannini, che ritengo tra i più completi e meritevoli di tutto il panorama, anche per la sua internazionalità, ed in effetti poi sono sempre stato affascinato da quelli americani. Per il teatro invece, Eduardo e Peppino De Filippo durante la mia crescita hanno rappresentato punti di riferimento imprescindibili per un giovane che vuole avvicinarsi al grande palcoscenico”.
Predilige recitare in teatro o al cinema? “Il mio habitat naturale è il teatro, il vero modo di recitare senza rete, con tutta l’anarchia di questo mondo, dove trovi il contatto umano col pubblico, l’improvvisazione, e dove hai la possibilità di migliorare e capire se la storia che interpreti, e nel mio caso che hai scritto, è sulla strada della credibilità. Il cinema è giusto il contrario, una costruzione studiata nei minimi particolari, dove tutto si può cancellare e rifare, dove tutto è previsto, dove tutto è sotto controllo, ma una volta confezionato e consegnato al giudizio del pubblico, rimarrà immutato con pregi e difetti. L’umile verità del teatro, contro la magia bugiarda degli effetti speciali del cinema”.
C’è un personaggio che ha interpretato che le ha lasciato un segno o che le è rimasto particolarmente nel cuore?
“Il personaggio che mi ha regalato molta soddisfazione e mi ha dato una mano a capire meglio le mie qualità e i miei margini di miglioramento, è stato Pomicino nel Divo di Paolo Sorrentino”.
Che rapporto ha con la città di Napoli? “Classico rapporto conflittuale, per tutte le cose che vorrei cambiassero, sia nella struttura, che nell’immagine, che soprattutto nell’atteggiamento dei cittadini, o di una gran parte di essi, nel modo di porsi nei confronti della stessa, o diciamo pure nella mancanza di rispetto verso la bellezza inequivocabile della città, che rimarrà solo potenzialmente una delle più belle del mondo, se l’intera popolazione non prenderà mai coscienza di quanto gli altri paesi facciano molto più di noi per rendere bella e splendente la propria terra di origine”.
Qual è la sua opinione sul panorama artistico napoletano? Ha visto una crescita nel corso degli ultimi anni?
“Negli ultimi anni devo dire purtroppo che non ho visto grandi talenti sul panorama napoletano, laddove il pubblico più numeroso si mostra portato ad accettare di buon grado performance di natura cabarettistica, dove poco c’è da riflettere, e molto da evadere, soprattutto rispetto alla realtà quotidiana, che andrebbe invece rappresentata sia in teatro che al cinema, con grande sensibilità, umanità e professionalità, sempre meno presenti nel panorama artistico”.
Per tanti anni è stato coprotagonista accanto a Vincenzo Salemme sia in teatro che al cinema. Qual è il vostro rapporto oggi?
“Il rapporto tra me e Vincenzo Salemme è sempre stato ottimo, mai un idillio, mai un inferno, ma sempre e comunque un rapporto di stima e rispetto, come si dovrebbe sempre avere tra colleghi che fanno lo stesso lavoro, nella stessa barca, nello stesso mare, dopo anni ed anni di meravigliose crociere”.
Al cinema ha collezionato numerosi film, ha lavorato con il premio Oscar Paolo Sorrentino ed ha vinto il David di Donatello per il miglior attore non protagonista nel film “Noi e la Giulia” di Edoardo Leo. Ha altri progetti cinematografici in cantiere?
“Per ora ho solo copioni da leggere, ma sono solo progetti, il difficile sarà capire quale di questi converrebbe fare, ma bisognerebbe vederli già fatti, prima di decidere. Ma dato che tutto ciò non è possibile, la lettura diventa un arduo impegno, un secondo lavoro su cui spendere tempo, e a volte anche creatività, sempre tanto riconosciuta ma mai retribuita!”.
DI CLAUDIA BUONFANTI
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