Un breve chiarimento sulla questione Gender
C’è stato un susseguirsi di voci, durante la scorsa estate, partite principalmente tramite messaggi WhatsApp e poi proseguite sui social networks o, in generale, su Internet riguardo al presunto insegnamento ai bambini su educazione sessuale, masturbazione infantile e giochi più o meno erotizzati.
Molti genitori si sono allarmati, pensando che sarebbe stato introdotto nelle scuole, soprattutto per i più piccoli, un programma del genere.
Ovviamente nulla di tutto ciò è successo, ma per chiarire questo argomento una volta per tutte bisogna fare un passo indietro.
Non è possibile affrontare la questione gender se non definiamo cos’è l’identità sessuale. Quest’ultimo termine si definisce “termine ombrello” e racchiude dentro di sé diverse componenti: il sesso biologico, l’identità di genere, il ruolo di genere, l’orientamento sessuale.
Cercando di essere il più possibile sintetici possiamo dire che il sesso biologico è quello geneticamente determinato; l’identità di genere è psicologica e riguarda il sentirsi appartenente ad un genere o ad un altro; il ruolo di genere è l’interpretazione del proprio essere ed è molto influenzato dal contesto e dalle aspettative sociali; l’orientamento riguarda da chi l’individuo si sente attratto.
Stabilite le opportune differenze, soprattutto che il sesso biologico e l’orientamento sessuale non sono modificabili, torniamo alla questione.
A creare questo idolo polemico sono stati i suoi oppositori che, usandolo come spauracchio, hanno provato a contrastare un progetto contenuto nel piano formativo, relativo alla prevenzione della violenza sulle donne, al bullismo omofobico tramite l’educazione alla “parità di genere”.
La teoria gender non esiste. Né esiste alcuna ideologia gender. Esiste solo negli scritti che la attaccano.
Gender in inglese significa “genere”; esistono invece gli studi di genere, che si occupano di approfondire, in modo interdisciplinare i significati socioculturali della sessualità e dell’identità di genere: in breve su come la società, a seconda del periodo e del luogo, interpreta le differenze. Questi studi hanno scientificamente dimostrato che omofobia, il sessismo, i pregiudizi di genere sono appresi culturalmente.
L’art. 16 della legge 13 luglio 2015, n.107, contestato da determinate fazioni politiche e/o religiose, recita “Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità dei sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni“
Lo scopo di tale articolo è educare le nuove generazioni al rispetto e “all’accettazione” delle altrui diversità; fenomeni di bullismo, di suicidi e di isolamento di una larga parte dei ragazzi, molti dei quali restano sconosciuti e/o impuniti, potrebbero essere impediti alla radice con la corretta sensibilizzazione. La diversità, in questo caso, è intesa secondo il senso anglosassone del termine: di razza, di lingua, di origine, di classe sociale, etc. Si parla, cioè, della disparità ancora esistente tra donne e uomini rispetto all’educazione, all’accesso alla sanità, al trattamento retributivo, al mondo del lavoro, alla rappresentanza politica e via dicendo.
Quindi ben venga l’obiettivo di trasmettere valori di non violenza e rispetto, di rendere ragazzi e ragazze futuri cittadini consapevoli, perché pur avendo tutti gli stessi diritti siamo, in fondo, tutti diversi tra noi.
LUCA PIZZONIA – PSICOLOGO PSICOTERAPEUTA
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