“Per sconfiggere la camorra cultura e libri”
Il sindaco Luigi De Magistris
ricorda Giancarlo Siani e indica
la strada da seguire contro la piaga
della criminalità organizzata
Sindaco de Magistris, quale è il suo ricordo personale della tragica vicenda di Giancarlo Siani?
“Un ricordo vivido e lancinante. Avevo diciotto anni. Anni in cui formavo il mio interesse per la giustizia e la lotta alla criminalità: gli anni delle prime esperienze politiche al Liceo Pansini. Anni cruciali per me che provenivo da una famiglia di magistrati. Mio padre lavorava proprio su quegli intrecci perversi fra poteri criminali mafiosi e politica, dei quali scriveva Siani. Figure di giornalisti veri – come viene descritto Giancarlo nel bel film “Fortapàsc” – e di magistrati come Falcone e Borsellino, di chi ha lottato per la giustizia fino al sacrificio di se stesso, sono state dei veri e propri modelli che hanno guidato il mio cammino e influenzato la mia vita. Ricordo benissimo la tragica fine di Giancarlo: fu un colpo al cuore. Ciò che più mi segnò era la sua giovane età. Mentre i miei altri “eroi” erano adulti e distanti anagraficamente, Giancarlo era come un fratello più grande. Un assassinio, il suo, che suonava come una minaccia anche verso noi ragazzi dei licei e delle università. La fine dell’età dell’innocenza e la consapevolezza che, anche a diciotto anni, se il tuo impegno civile è vero, è rivoluzionario, puoi essere pericoloso per il potere. Le nostre manifestazioni non erano ragazzate, ma un vero attacco ai poteri forti che prosperavano nell’indifferenza. La nostra consapevolezza, per quanto giovani, era pericolosa. L’esempio di Giancarlo non ci spinse in una fuga intimistica, ma rilanciò la nostra voglia di cambiare. Non avemmo paura, ma trovammo più forza. Non è un caso che le generazioni post Siani e post Falcone e Borsellino siano state capaci di infliggere duri colpi alle mafie”.
Un coraggioso libro di inchiesta del giornalista Roberto Paolo ha consentito di riaprire le indagini sui mandanti e sugli esecutori materiali dell’omicidio del giovane cronista. Lei che idea si è fatto sul movente dell’omicidio?
“Non solo gli interessi dei Gionta, dunque, ma anche quelli dei Giuliano e del business delle cooperative? Può essere che la condanna a morte di Giancarlo abbia rappresentato la convergenza di interessi criminali di vari clan, ma il dato saliente è la collusione fra interessi camorristici e politici. Sia se guardiamo agli esiti processuali che hanno individuato nel clan Gionta gli esecutori materiali dell’omicidio, sia se seguiamo le ricostruzioni di Roberto Paolo, quello che emerge – il vaso di pandora che Giancarlo aveva scoperchiato e per il quale doveva essere “eliminato” – era l’intreccio mafia e politica. Che è il leitmotiv di molte mie inchieste ed è ciò che ritengo essere il brodo di coltura del crimine organizzato. Può esistere lo Stato senza mafia, ma non può esistere la mafia senza Stato. La camorra sanguinaria degli anni ‘80 sulla quale Giancarlo indagava, e che segnava la definitiva trasformazione della camorra da criminalità rurale in “onorata società” strutturata di tipo corleonese, era caratterizzata proprio dal rapporto con la politica. Quella camorra era un parassita che ha prosperato in uno scenario fortemente influenzato dall’idea politica di consentire deroghe negli appalti pubblici a favore di interventi “straordinari”. Con il post terremoto si impone la logica dell’emergenza, con la quale si saldano concretamente gli interessi della criminalità e della politica corrotta. La logica della “Protezione civile Spa”, tanto per essere chiari. Quella era forse la scoperta di Giancarlo, per la quale doveva “pagare”.
Sono passati trenta anni dal sacrificio di Giancarlo Siani. Cosa è cambiato a Napoli, rispetto ad allora, in termini di tensione verso la legalità?
“La camorra non è stata certo sconfitta, ma lo Stato ha inferto colpi decisivi al crimine. E’ poi effettivamente maturata una consapevolezza culturale su cosa sia la camorra e su come vada combattuta. Una grande consapevolezza che è patrimonio comune di tutta la città. Solo con la cultura e riconoscendo realmente il diritto al lavoro a tutte e a tutti, sradicheremo definitivamente il cancro camorristico. Per sconfiggere la camorra non servono tanto i fucili, ma soprattutto cultura, libri e scuole. Perché, come diceva Falcone, la mafia, come tutte le cose umane, ha un inizio e avrà una fine. Ed è con gli esempi come quelli di Giancarlo che la fine delle mafia si avvicina”.
Il prossimo 23 settembre ricorrerà, appunto, il trentesimo anniversario dell’ uccisione di Giancarlo Siani. Il presidente della V Municipalità, Mario Coppeto, ha invitato l’amministrazione comunale a farsi garante della realizzazione della rotonda della legalità in via Caldieri, con l’installazione di un’opera che preveda l’esposizione della Mehari appartenuta al giornalista de “Il Mattino”. Lei cosa risponde?
“Siamo proprio noi ad aver voluto creare “la rotonda della legalità” in via Caldieri, in quella parte di Napoli eternata ne “Le mani sulla città. I contrattempi tecnici non inficiano la nostra volontà di regalare al Vomero di Giancarlo una rotonda che lo ricordi con esposizione della Mehari. La volontà e’ fortissima e raggiungeremo l’obiettivo”.
Il tema della legalità richiama quello della sicurezza. Nell’ultimo periodo proprio al Vomero si è registrata una recrudescenza di episodi di piccola e grande criminalità. Che costa sta accadendo nel quartiere collinare?
“Non confondiamo la normale criminalità – tipica di tutte le grandi città – con la camorra. La camorra esiste in tutti i quartieri di Napoli ed e’ contrastata in tutti i quartieri. C’è, poi, un tema – serio e che affrontiamo con la massima allerta – di insicurezza percepita, che è cosa diversa dalla sicurezza reale. Le azioni di contrasto delle forze dell’ordine, come i recenti arresti effettuati al Vomero, dimostrano che lo Stato c’è. Anche le statistiche rivelano che la lotta al crimine progredisce. A Napoli meno crimini che a Milano e Roma. Per liberare la città dalla insicurezza percepita, allora, servono altre strategie. Potenziare da un lato la presenza delle forze dell’ordine, anche con più videosorveglianza:obiettivo sul quale Comune e Prefettura lavorano quotidianamente con buoni risultati, pur nella ristrettezza di mezzi e risorse per responsabilità governative. Dall’altro lato, procediamo nella direzione di favorire la riappropriazione da parte della città di spazi il cui abbandono genera la sensazione di insicurezza. Insomma più vivibilità, più decoro. Con tanta gente in strada il delinquente arretra. Ogni giorno si liberano spazi restituiti alla socialità. Grazie al fermento e alla ricchezza dei suoi cittadini, Napoli è un modello di partecipazione dei cittadini alla vita della città e, come amministrazione, intendiamo procedere in questa direzione: far rivivere la città. Il fatto che Napoli sia la città d’Italia cresciuta maggiormente in termini di turismo, unitamente alle belle parole del Presidente della Repubblica sulla nostra città, dimostrano che la strada intrapresa è giusta. Andiamo avanti, tutti, con onestà, coraggio e passione civica”.
di Giuseppe Farese
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