Intervista a Lucio Mirra, così è nato il Teatro Diana
Il Vomero, come ogni quartiere, è in continuo divenire: ciò è logico e giusto, eppure i cambiamenti, per definizione, mettono sempre un po’ paura. Per questo c’è bisogno di alcune rassicuranti certezze, una delle quali è il Teatro Diana, vero centro della vita culturale del quartiere, legato da mezzo secolo al nome di Lucio Mirra, che abbiamo avuto il piacere di incontrare.
1964-2015: più di cinquant’anni di attività nel settore dello spettacolo. Una vita tra successi e grandi produzioni. Come ha avuto origine questa straordinaria carriera?
Beh, in realtà ho cominciato come avvocato: i primi due anni dopo la laurea ho lavorato in uno studio e poi all’ufficio legale della Tirrenia, la compagnia di navigazione. In seguito alla morte di mio suocero e a quella di suo fratello, che si occupavano entrambi del Diana, sono stato ‘costretto’ a lasciare l’attività di avvocato e a dedicarmi a questo lavoro del quale conoscevo ben poco. In quel tempo il Diana faceva sia cinema che teatro, ma dal momento che quest’ultimo cominciava ad appassionarmi, iniziammo a prendere le prime compagnie.
In questi anni il palco del Diana è stato quindi calcato da grandi artisti. Quali ricordi tornano alla mente?
Dunque, la prima compagnia fu quella di “Scanzonatissimo” di Alighiero Noschese nel ’64: c’erano Antonella Steni, Elio Pandolfi e anche Pippo Baudo! Fu uno spettacolo molto amato, nonché uno dei primi a proporre satira politica: inizialmente fu quasi boicottato, ma in seguito ebbe talmente tanto successo che furono gli stessi politici ad apprezzarlo. Era diventato un must ed essere presi in giro era sinonimo di importanza! Poi vennero Nino Taranto, Peppino De Filippo e altri ancora; insomma, cominciammo a incrementare l’attività teatrale, senza però abbandonare quella cinematografica. E così andammo avanti, io e mia moglie, fino al ’78, ’79…
E poi?
Poi, su suggerimento di Mico Galdieri iniziammo anche a produrre degli spettacoli. Un giorno venne da me con Ugo D’Alessio il quale aveva avuto da Eduardo i diritti di alcune commedie di Scarpetta. Erano in cerca di un produttore, e benché non avessi mai ricoperto un simile ruolo, scelsi comunque di imbarcarmi in quella impresa. In seguito producemmo anche i fratelli Giuffré, Pupella Maggio, Lina Sastri, Luigi de Filippo… Nel ’79/’80 cominciammo anche l’attività di ospitalità, proponendo il primo cartellone, con quattro o cinque nomi e un primo esperimento di abbonamenti. Lavorando con impegno iniziammo ad affermarci, tant’è vero che arrivarono le grosse compagnie come quella di Enrico Maria Salerno, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Mariangela Melato e altri ancora fino a Marcello Mastroianni che fu il massimo, con uno spettacolo bellissimo! Circa 400 compagnie sono venute in questi anni e abbiamo fatto produzioni per 120 spettacoli. Quanti attori abbiamo conosciuto: tante amicizie, tanti ricordi…
È da tutti questi ricordi che nasce l’idea di “Che Spettacolo! Tra Teatro e Cinema un Viaggio Lungo Cinquant’anni”?
Proprio così. L’idea nacque un annetto fa, quando degli amici mi suggerirono:«Ma perché tutti questi aneddoti e questi racconti perché non li metti in un libro?» Con l’aiuto di un giornalista del Mattino e di un’altra giornalista abbiamo passato quasi un anno a fare delle ricerche tra i documenti che mia moglie conservava con grande cura e precisione: contratti, rapporti con le compagnie, ritagli di stampa, eccetera… E così è venuto fuori questo libro che verrà presentato il giorno 11 giugno alle 19 presso il Teatro Diana.
Quali sono le sue opinioni sull’attuale scena teatrale italiana?
Rispetto a prima ci sono parecchie differenze, innanzitutto : abbiamo vissuto un periodo d’oro dalla fine degli anni ’70 fino ai 2000 in cui ci sono stati grandissimi artisti. Ora abbiamo Salemme, Buccirosso, Casagrande che sono attori eccellenti. Inoltre, viviamo in un momento di crisi, tanti teatri hanno chiuso e anche il numero di compagnie è diminuito; noi, come teatro privato cerchiamo di difenderci, dal momento che non godiamo delle stesse sovvenzioni del teatro pubblico. Queste strutture ricevono infatti grosse somme, e possono permettersi di spendere in proporzione, mentre noi puntiamo su una gestione più oculata.
Spostandoci più sul Vomero, il numero di sale teatrali e cinematografiche è diminuito drasticamente negli ultimi anni. Come si spiega un simile fenomeno?
Il problema dei cinema è nato coi multisala che hanno attratto molti degli spettatori che prima frequentavano le sale dei vari quartieri. La crisi si è fatta sentire con forza a partire dal 2000 al 2005, periodo in cui hanno chiuso parecchie strutture. Quando ho cominciato a fare cinema, infatti, c’erano quasi quindici sale al Vomero, ora ne restano tre, quattro con l’Acacia. Rispetto ad altre zone, il Vomero resiste perché il pubblico è più attento e preparato culturalmente, perciò vengono programmati film che non andrebbero bene nelle multisala, adatte a prodotti più popolari. Inoltre i costi sono cresciuti enormemente: noi avevamo il Plaza e l’Abadir, il primo di proprietà e il secondo in fitto; quando la proprietaria ha ricevuto da un supermercato un’offerta molto più forte di quella che potevamo farle noi, non ha potuto fare a meno di accettarla.
Qual’è il futuro del Diana? Continuerà ad essere uno dei maggiori centri non solo di diffusione ma anche di produzione culturale del Vomero?
Certo. Il teatro è di proprietà, quindi continueremo sia nell’ambito della produzione (quest’anno abbiamo Leo Gullotta, Carlo Giuffré, Vincenzo Salemme) che in quello dell’ospitalità: siamo i primi in Italia come numero di abbonati, quasi 10.500! Inoltre proponiamo spettacoli per le scuole, che nell’ultimo anno hanno attirato qualcosa come 50.000 studenti, trattando temi d’attualità come la morte di Siani o la Terra dei Fuochi e prevedendo, alla fine, un dibattito tra i ragazzi, i professori e gli attori.
Chiudiamo con una citazione. Parlando di “Ett Drömspel” di Strindberg, Artaud disse:«Dai cervelli umani è scomparsa la nozione di teatro. Essa esiste, invece: a metà strada tra realtà e sogno.» È qualcosa di vero ancora oggi o il piattume dei nostri giorni ha tolto anche questo alle persone?
Sul teatro ci sono diverse frasi memorabili, ad esempio una di Oscar Wilde secondo cui gli attori sono dei privilegiati perché possono scegliere cosa fare sul palcoscenico, mentre nella vita reale le persone sono costrette a recitare parti per le quali non sono portate. Tornando alla domanda, il piattume e l’imbarbarimento dei costumi sono però delle realtà: a volte vedo che nei cartelloni degli anni ’80 e ’90 c’erano delle opere che, se proposte oggi, risulterebbero di difficile comprensione. Questo perché il livello culturale si è abbassato, forse per colpa della televisione, o almeno di una certa televisione davvero becera, di cui paghiamo anche noi, indirettamente, le conseguenze.
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