Piazza Leonardo, Giancarlo vive ancora qui
– A cura di Arnaldo Capezzuto –
“Ricordo certo che ricordo”. Si ferma e nasconde una lacrima. “Giancà, lo conoscevo. Lo vedevo sempre andare di fretta. Di quella sera non ho dimenticato nulla. Sono trascorsi gli anni per altri non per me. Custodisco ogni particolare, dettaglio, sensazione. Tutto. Subito compresi che si trattavano di colpi di pistola. Feci un soprassalto. Lo spavento. Erano settimane che una banda di ladruncoli imperversava nei viali dei parchi a ridosso di piazza Leonardo. Quando avvertii chiaramente le esplosioni pensai d’istinto: ecco qualcuno li ha beccati ed ha sparato”. A fatica si china mantenendosi aggrappato alla Mehari, schiocca due baci sul sedile nero dove era seduto il giornalista de “il Mattino” trucidato quella maledetta sera del 23 settembre del 1985 dai killer della camorra. “Giancarlo era proprio in questo punto, accasciato. Ripiegato in avanti, senza vita. Aveva la camicia inzuppata di sangue. Una scena agghiacciante. Un proiettile si conficcò anche nello sportello laterale. Lo ricordo bene. C’erano colpi esplosi dappertutto. Ho quasi 80 anni e dovete credermi: la mia vita non è stata più la stessa dopo l’omicidio di Giancarlo. La gente non credeva. Dubitava. Napoli è così. Anche per questo vedere in strada la sua auto è una emozione fortissima”. Pausa. Respiro profondo. Si parte. Così comincia la staffetta “In viaggio con la Mehari”. Paolo Siani, fratello di Giancarlo riprende quell’auto verde, scoperta, senza sportelli, indifesa come lo era il cronista de “Il Mattino” per farla tornare a girare per le strade della città. Un modo per riconciliarla con Napoli, fare memoria e diventare gancio per non dimenticare nessuno: giornalisti uccisi, vittime innocenti della criminalità e del terrorismo. Ma anche e soprattutto per riflettere sulla condizione dei giornalisti che spesso – come certifica l’Osservatorio per l’informazione Ossigeno – finiscono nel mirino, subendo intimidazioni, minacce e censure o indotti a dimenticare le notizie. L’intensa giornata comincia con la deposizione di fiori alle Rampe Siani con il sindaco Luigi de Magistris, il presidente della Regione Stefano Caldoro, il presidente della Provincia, Antonio Pentangelo, e Valeria Valente, in rappresentanza della presidente della Camera, Laura Boldrini, c’è anche un messaggio del presidente del Senato. Poi si apre la lunga staffetta, quella che ha avvicinato tappa dopo tappa la Mehari da piazza Leonardo al Vomero alla redazione del Mattino in via Chiatamone. E’ l’inizio di “In viaggio con la Mehari” che vedrà l’auto di Giancarlo diventare gancio delle memorie in giro per la Campania, l’Italia e fino a giungere al Parlamento Europeo. E’ toccato a Roberto Saviano condurre la Mehari da piazza Leonardo fino al Liceo Vico, dove Giancarlo fu studente. C’era chi affacciato dalla finestra non credeva ai propri occhi di ritrovarsi l’autore di Gomorra sotto al balcone come una signora che mentre sorseggia il caffè urla: “E’ Roberto Saviano?”. Sorpresa, stupore e emozione. Un ‘ovazione quando la Mehari varca la soglia del liceo Vico dove ad attendere lo scrittore c’è il fondatore di Libera don Luigi Ciotti e prosegue la staffetta lungo la seconda tappa e consegna l’auto in piazza Dante al procuratore Armando D’Alterio (il magistrato che ottenne la condanna per esecutori e mandanti). La Mehari si ferma a piazza Carità per commemorare i 70 anni dal sacrificio di Salvo D’Acquisto trucidato nel 1943 a Torre di Palidoro – vedi la coincidenza stesso giorno di Giancarlo – dalla furia nazista. L’auto poi si sposta alla Questura dove Alfredo Avella, presidente del Coordinamento vittime innocenti della criminalità (il figlio Paolo, 17 anni, il 5 aprile del 2003, a San Sebastiano al Vesuvio, cadde sbattendo la testa nel tentativo di difendere il suo scooter da una rapina, fu frutto di un omicidio preterintenzionale) e giunge scortata dalla polizia e dai vigili urbani al San Carlo dove il giornalista Giovanni Minoli la conduce in via Chiatamone. Qui tocca alla cronista de il “Mattino” Daniele Limoncelli portarla nella sede del giornale e parcheggiarla nella ex sala delle rotative. “Ho il cuore a mille – riesce a dire Saviano, circondato da molti giovani – E’ uno di quei giorni in cui sono felice nella mia città”. C’è anche il disgelo con il sindaco Luigi de Magistris che emozionato sottolinea “Napoli è la città della legalità e la ripartenza della Mehari di Giancarlo ne è l’ennesima dimostrazione”. Anche il presidente della Regione Stefano Caldoro sottolinea come : “Siamo molto avanti nella legislazione regionale, nel recupero e utilizzo dei beni confiscati. Però il fenomeno è molto più grosso, forte e impegnativo di questi mezzi. Bisogna aggredire soprattutto il patrimonio, questo fa più male alla camorra”. C’è voglia di riscatto civile, del non voltarsi dall’altra parte e di chiamare le cose col il loro nome. Una mostra con le prime pagine del “Mattino” raccontano la vicenda di quell’omicidio. E prima che comincia la premiazione della decima edizione del premio intitolato al giovane cronista prendono a turno la parola coloro che hanno condotto l’auto per le strade di Napoli. “E’ bello vedere questo giornale celebrare Giancarlo -dice Roberto Saviano- per la verità non è stato sempre così. Anzi. Per me essere qui è soprattutto un omaggio alla sua memoria e alla sua famiglia. E’ a loro che dedico questa giornata. Per dieci anni, Paolo suo fratello e i suoi familiari, hanno custodito la verità, hanno subito piste false, diffamazioni, miopia. Tutti tendevano ad allontanare lo spettro camorra. Loro hanno resistito, la verità è arrivata dopo dieci anni e questa Mehari che riparte è di tutti, ma io la dedico a loro perché per me sono l’esempio che ha difeso la verità di Giancarlo”. E don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di “Libera” ricorda: “Siani amava la ricerca della verità, era un archeologo della verità, scavava sempre in profondità, non si fermava mai in superficie e cercava di fare emergere le contraddizioni. E’ bene commuoversi ma occorre muoversi. La vera lotta la si deve fare dentro il Parlamento producendo leggi dure contro le mafie”. E Giovanni Minoli, l’inventore di Mixer ci va giù duro : “Giancarlo era un giornalista e faceva il giornalista. Sembra poco, ma è tantissimo. Giornalisti che fanno i giornalisti non ce ne sono più. Ci sono persone immerse nella colonna sonora di rumori senza essere informati davvero”. Il padrone di casa il direttore del “Mattino”, Alessandro Barbano lo ripeterà più volte “La lotta della camorra è troppo importante per essere ridotta a una opera di testimonianza. Il nostro compito deve essere quello di contribuire alla comprensione dei fenomeni”. La Mehari dalla sede de “il Mattino” si è rimessa in moto, scortata dai ciclisti campani è giunta fino al Pan. A guidarla un emozionato Giovanni Taranto, giornalista di Metropolis: “Ero un giovane cronista e tutte le volte che chiedevo a Giancarlo di guidare la Mehari mi diceva sempre di no…perchè da poco avevo conseguito la patente”. Bello e emozionante anche quando Gerardo Marotta, presidente e fondatore dell’Istituto per gli Studi Filosofici ha accolto a palazzo Serra di Cassano salendoci sopra la Mehari di Giancarlo. Un ponte ideale gettato tra il sapere critico, la tradizione culturale meridionale e il tributo alla memoria di un giornalista-giornalista Giancarlo Siani.
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