ENRICO CAJATI, UNA RICERCA DI RESPIRO EUROPEO
Enrico Cajati nasce il 14 aprile 1927 a Napoli e non la lascia fino alla morte avvenuta nel 2002. Inizialmente la sua formazione è da autodidatta. Il suo sogno è diventare pittore e fare della pittura il suo motivo di vita.
Dimostra, fin da giovanissimo, una notevole capacità pittorica, partecipando alla vita artistica. A partire dal 1949 espone in numerose mostre importanti, ricevendo significative attenzioni da parte della critica. Nel 1951 partecipa alla VI Quadriennale di Roma; nel 56, appena ventottenne, viene invitato alla Biennale di Venezia e presenta tre paesaggi. Questi primi lavori sono di tipo figurativo ma già nell’opera “Paesaggio verso Capodimonte” (1955) Cajati anticipa la sua nuova ricerca. Intraprende infatti un passaggio verso l’arte informale, traducendo nelle opere il suo travaglio interiore.
Affianca alla pittura l’insegnamento, prima presso l’Istituto d’arte De Luca di Avellino e poi presso l’Istituto d’Arte Filippo Palizzi di Napoli dove insegna Arte della Decorazione. Cajati è un artista di grande temperamento, è un eccentrico e un ribelle; di statura piccola, con occhi penetranti, con l’immancabile foulard al collo, è in contestazione con se stesso e con tutti al punto che i suoi colleghi, pur stimandolo come pittore, a volte lo evitano. Lavora, sempre più in solitudine, nel suo piccolo studio in via Santa Teresa degli Scalzi, nella zona Museo, fedele al suo credo artistico, fino agli ultimi anni di vita.
È difficile catalogare Cajati in un percorso specifico. Sfugge. Sta nel surrealismo, nel visionario, ha anche una forte carica spirituale che talvolta trasfonde nei suoi dipinti. È opinione comune di molti critici che è arduo commentare le opere di Cajati separandole dall’uomo.
È d’obbligo, quindi, fare riferimento a due protagonisti molto importanti della cultura italiana che hanno conosciuto Cajati: Piero Girace, critico e scrittore molto stimato da Giorgio de Chirico, e Paolo Ricci, noto sia come pittore che come critico d’arte.
Girace ha colto molto bene gli aspetti complessi della personalità dell’artista; così scrive: «la migliore autobiografia di Cajati è costituita dagli innumerevoli dipinti da lui eseguiti….. in essi si ritrovano i suoi umori, le sue scontrosità, i suoi abbandoni, i suoi entusiasmi, le sue esperienze di uomo e di artista ….».
Ad intuire compiutamente le capacità e l’importanza di Cajati pittore ci ha pensato Paolo Ricci, con un’eloquente critica apparsa nel 1972 su l’Unita’: «una pittura cupa, piena di terrore, visionaria, furiosa..i suoi personaggi, intravisti attraverso la frenetica e fitta rete di linee e di colori, sono uomini-scimmia, dal ghigno bestiale.. il macabro si fonde continuamente con il grottesco più feroce e sfrenato, raggiungendo spesso una specie di monumentalità ’declamatoria di origine anarchica….».
Cajati, come tanti pittori importanti della seconda metà del Novecento, ha dovuto subire il sistema di potere- che impera ancora oggi- per il quale conta soprattutto la speculazione. I tantissimi dipinti che ci ha lasciato meritavano un riconoscimento superiore. Siamo sicuri che le opere del maestro Cajati, che già sono entrate in molte collezioni private importanti, dopo la bellissima retrospettiva dedicatagli nel 2006, al Castel dell’Ovo, saranno ospitate anche in altre sedi prestigiose della nostra città.
Camilla Mazzella
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