A Nfrascata: l’antica Salvator Rosa
“A Nfrascata è un termine antico, ma ancora molto usato nel dialetto napoletano da poeti e scrittori napoletani. Basta ricordare i famosi versi con cui si apre “Guapparia”, uno dei più grandi classici del repertorio di canzoni napoletane, scritta nel 1914 da Libero Bovio e musicata da Rodolfo Falvo: ”Scetáteve, guagliune ‘e malavita, ca è ‘ntussecosa assaje ‘sta serenata. Io sóngo ‘o ‘nnammurato ‘e Margarita, ch’è ‘a femmena cchiù bella d’ ‘a ‘Nfrascata”. Famosa è anche la canzone di Pisano-Lama i cui versi richiamano ad una piacevole e tranquilla atmosfera bucolica: “Mmiez’è ffronne da ‘Nfrascata, ce sta na casarella prufumata, chiene sciure, chiene rose avvellutate, addò se ferma ‘o sole pa guardà.”
Si comprende chiaramente che la parola “Nfrascata”, che significa “Frasche”, corrispondeva ad un luogo di Napoli, invaso da fitta vegetazione, da giardini e campi ricchi di fiori e frutti profumati. ‘A Nfrascata corrisponde all’attuale Salvator Rosa e allora collegava la zona del Museo Archeologico con San Gennaro ad Antignano. La sua storia ha inizio nel XVI e XVII secolo, quando la nobiltà spagnola iniziò a costruire sontuose dimore sulla collina del Vomero, allora una zona isolata, tagliata fuori dal resto della città e di difficile accesso.
Era tuttavia necessaria una strada che collegasse il centro della città alla nuova area residenziale. Già allora al Vomero si contavano numerose masserie, monasteri e ville di dotti illuminati e letterati, che in conflitto con il governo vicereale spagnolo andavano lì a costruire le loro residenze. Ricordiamo la villa di Giovanni Pontano in via Annella di Massimo ad Antignano, quella di Gian Battista della Porta a Vico Molo alle Due Porte all’Arenella, quella di Giuseppe Donzelli sul ponte della vecchia via Donzelli.
Durante la peste del 1656, addirittura il Vomero divenne rifugio di molti nobili, che scappavano dalle pestilenze che colpirono la città. Allora ‘A Nfrascata era un sentiero ripido, una scalata erta e pericolosa fra gli alberi che si intrecciavano e si inerpicavano su per la collina. Fino agli inizi del Novecento, salire al Vomero era un privilegio di pochi. Solo chi disponeva di una carrozza trainata da ciucci poteva scalare quelle salite tortuose e scivolose nei periodi invernali. Il luogo era chiamato anche la strada dei ciucciari, per la presenza nella zona del museo di stalle per somari che venivano noleggiati dai viaggiatori che, giunti a destinazione, abbandonavano i quadrupedi, che da soli poi riprendevano la strada del ritorno, dando origine ad una bellissima visione di asini in libertà. Famosa, infatti, era l’agenzia di Giuseppe Tamaggio, detto Don Peppe ò ciucciaro che, nel suo basso-stalla di Salvator Rosa al numero 359, dava in noleggio i suoi quadrupedi. Quel basso, oggi un negozio, è ancora riconoscibile per alcune indicazioni che ricordano che lì c’era stata la stalla di un ciucciaro. Oggi la zona dell’Infrascata, denominata via Salvator Rosa, non presenta più quell’atmosfera bucolica di un tempo.
Occorre fare un grande sforzo di immaginazione per ricostruire quel passato non più rintracciabile. Oggi mastodontiche costruzioni, vere e proprie muraglie di cemento armato, che insistono su strade strette ed inadeguate al traffico veicolare, hanno inesorabilmente trasformato quel panorama bucolico del passato in queste brutture del presente.
Ersilia Di Palo
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