Ponti, opere per andare, camminare, raggiungere
A passeggio nella storia delle strade del Vomero
Migliaia di vomeresi li attraversano ogni giorno. A piedi, in auto, moto o bici. Non ci fanno più neanche caso ma se sparissero di colpo la circolazione del quartiere diverrebbe molto complicata. Spostarsi da piazza Vanvitelli a piazza Medaglie d’Oro o da via Scarlatti a Posillipo o da piazza Leonardo a piazza Immacolata sarebbe una peripezia degna di “Avventure nel mondo”. Stiamo parlando dei ponti, opere di ingegneria civile costruite per superare ostacoli, naturali o artificiali, che interrompono la continuità della rete stradale.
In realtà il termine è errato. I ponti propriamente detti sono quelli che superano un corso d’acqua, i viadotti la discontinuità orografica delle vallate, i cavalcavia intersecano altre vie di comunicazione. E al Vomero c’è ogni tipo di ostacolo.
Le colline partenopee (Posillipo, Vomero e Camaldoli) poggiano su un gigantesco, millenario banco tufaceo. In particolare il Vomero è costituito da un ampio tavolato con forti dislivelli, avvallamenti, fratture, pendenze, residui dello scavo del tufo.
Essenziale per la circolazione, anche per la presenza dello svincolo della tangenziale, è il ponte progettato negli anni ‘50 per superare il dislivello tra via Scarlatti e via Cilea. Costruito su via Gino Doria, rasenta finestre e balconi dei condomini, che si trovano ora ad un livello più basso. Per costruirlo fu necessario demolire l’antica villa dove risiedeva lo studioso di storia napoletana Gino Doria. Con ironia in “Del carattere dei napoletani” alluse all’esproprio subito: “Camminiamo insieme su queste nostre belle strade inondate di sole, e combiniamo insieme mille grandiosi affari. E quando ne avremo concluso uno grandissimo, la vendita della Villa Nazionale per suoli edificatori io ti offrirò un caffè e tu mi offrirai una sigaretta. E ci prenderemo a braccetto e passeggeremo“.
Via conte della Cerra ospita ben tre ponti. Quello di Via Mario Fiore risale al 1958 quando la Cerra era delimitata da un alto muro, in parte ancora visibile, e piazza Fanzago terminava con una ringhiera. E poi quello di via Suarez (del 1935), abbastanza degradato, tanto che di recente sono stati necessari lavori di spicconamento e messa in sicurezza.
Un po’ giù ci sono i ruderi del ponte della via Antiniana che collegava Neapolis con Puteoli: la grande struttura a due arcate è stata riportata alla luce dai lavori della metropo-litana dopo che nel ‘700 era stata inglobata in un palazzo.
Spostandoci verso l’Arenella, l’urbanizzazione e la costruzione della zona ospedaliera risalgono agli anni ‘20.
In precedenza, tra boschi, campi, un piccolo villaggio e alcune ville nobiliari le uniche vie di comunicazione erano sentieri assai disagevoli. Fu necessario, quindi, costruire il ponte su via Pietro Castellino, lungo circa 30 metri.
Vicino c’è anche il ponte su via Angelo Raffaele alle Due Porte.
Scendendo verso il centro, Corso Vittorio Emanuele, la prima ”tangenziale di Napoli” realizzata nel 1861, supera la discesa di Sant’Antonio ai Monti in un punto che dal Vomero porta a Montesanto. All’inizio, non essendo pronto per l’inaugurazione, fu costruito in legno.
E, infine, descriviamo una struttura non molto nota perché di uso privato: il ponte costruito nel 1818 per collegare villa Lucia alla Floridiana.
Alto 16 metri, a campata unica, fu realizzato con anfore di cotto per renderlo leggero. Si legge in “Napoli e il luoghi celebri delle sue vicinanze” di Ajello (1845) “Facendo temere all’architetto quello che avrebbe potuto intervenire (…) quando questa fosse prosciugata e venisse l’arco abbandonato al suo proprio peso, fu obbligato a compierlo rapidamente, lavorando di giorno e di notte per maniera che lo condusse a termine in pochi dì”.
Altri ponti vomeresi sono su salita Cacciottoli (realizzato negli anni ’30) e quello su via Vicinale Camaldolilli. Per non parlare poi dei viadotti di accesso alla tangenziale (ad esempio via Cilea, via Caldieri, via Po, via Piave) che, però, sono di servizio e più periferici rispetto al centro del quartiere. Insomma l’intero territorio cittadino è caratterizzato da una complessa e tortuosa stratificazione urbanistica che racconta storia e storie.
Questo percorso sui ponti vomeresi può essere concluso con una frase, molto efficace, dello scrittore Giuseppe Marotta: “Napoli è città di scalini, di rampe, di ponti, di trafori, perché è città di memoria”.
Nicola Miletti
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