Miola, romantico pittore della seconda metà dell’800
di Camilla Mazzella
A dispetto della sua bravura, Camillo Miola non ha goduto di grande notorietà anche se la breve strada, che sbocca in Largo Celebrano, porta il suo nome. Nato nel 1840 a Napoli, segue gli studi classici presso i Gesuiti per poi lavorare nell’amministrazione borbonica.
Ma il richiamo dell’arte lo porta a frequentare l’Istituto di Belle Arti di Napoli, dove segue i corsi di disegno e di pittura di Filippo Palizzi, del quale subirà l’influsso verista, e di Domenico Morelli. E sarà proprio la stima e l’incoraggiamento di quest’ultimo a fargli imboccare la via dell’arte. Miola, grande appassionato di storia antica, ne approfondisce lo studio grazie al fratello Alfonso, bibliotecario, paleografo e poi direttore della Biblioteca Universitaria della città.
Le opere di Miola raffigurano infatti non pochi episodi della storia greco romana, con pitture ricche di aneddoti, dettagliate e precise che ci riportano, per molti aspetti, in parte all’arte di Morelli. Anche gli scavi di Pompei, visibili dopo l’Unità d’Italia, stimolano Miola verso una dimensione più intima e quotidiana dell’antichità. È così che dipinge il “Plauto Mugnaio” (1864) che raffigura un episodio della vita del celebre commediografo, costretto a lavorare come schiavo presso un mugnaio per saldare un debito di gioco.
La scena è ambientata all’interno della casa del Forno di Pompei, e Plauto è raffigurato seduto sulla mola mentre legge ai presenti l’Addictus (Lo schiavo per debiti), un testo scritto proprio in quel periodo della sua vita. Il dipinto, presentato alla Esposizione Universale di Parigi del 1867, dove erano esposte anche opere di Morelli, di Gioacchino Toma e di altri pittori italiani, fu acquistato dal Comune di Napoli ed è oggi custodito presso il Museo di Castel Nuovo.
Il successo del “Plauto” entusiasmò il grande Meissonier che per esprimere la sua ammirazione verso il collega, lo ospitò, per diversi mesi, nel suo studio. La piccola tela dal titolo “Un cantuccio dello studio di Ernest Meissonier” è nata proprio da questo soggiorno e si trova ora al Museo di San Martino. Della sua vasta produzione possiamo ricordare fra gli altri quadri “Tarquinio e la Sibilla” e “Un barbaro e un romano”, acquistati dal Banco di Napoli, nonché “Le lavandaie” e “Lo scaricante di carbone” opere con le quali partecipò alla Esposizione triennale di Brera, nel 1900.
Queste ultime due opere sono insieme con “Dopo il lavoro” e “Un mercato di frutta” le uniche che possono considerarsi a sfondo sociale. Uno dei dipinti che ha richiamato l’attenzione e la lode di non pochi artisti è “Il fatto di Virginia”, del 1882, acquistato dal re Umberto I, e oggi al Museo di Capodimonte.
La protagonista è una plebea romana vissuta nel V secolo a.C. e uccisa dal padre per sottrarla alla libidine del malvagio decemviro Appio Claudio. La storia è narrata nell’opera “Ab urbe condita” di Tito Livio.
Il Miola è stato anche apprezzato ritrattista: numerosi sono i volti di belle donne del popolo e della nobiltà partenopea.
Nel volume “Napoli d’oggi”, Giulio Massimo Scalinger, scrittore e critico d’arte, dedica giudizi entusiastici alla pittura di Camillo Miola che egli considera “l’artista erudito, che ha saputo dare alla storia e all’archeologia il moto e il vigore della vita”.
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