I teatri in depositi, garage e cantine
I tempi eroici dell’avanguardia teatrale
Nella seconda parte del viaggio nei “luoghi teatrali” vomeresi abbandonati, dopo aver raccontato dei teatri storici, ci occupiamo di un periodo particolarmente vivace della vita culturale del quartiere: i tempi eroici dell’avanguardia teatrale. Quando un po’ dappertutto nacquero sale teatrali in depositi, sottoscala, garage.
Tra i principi fondamentali della sperimentazione di quegli anni c’era l’intento di utilizzare spazi insoliti ma in sintonia con una diversa spettacolarità. I “Collettivi” che li animavano erano formati da amici con gli stessi ideali, capaci di studiare e di studiarsi, intenzionati più a fare “gruppo” che ad imporre singole personalità.
“Negli anni ’70 fummo fortunati – dice l’attrice Cloris Brosca – lo sguardo teatrale di chi veniva prima di noi, aveva permesso la trasformazione degli spazi più disparati in luoghi scenici.
Frequentando come spettatori quegli spazi si aveva l’impressione di far parte di una comunità che si occupava di temi culturali, sociali…”
Infatti ci ha raccontato Rosa Fontanella, fondatrice, assieme a Domenico Ciruzzi, Silvio Orlando, al compianto Riccardo Zinna del Teatro dei Resti, una delle punte più avanzate della nuova spettacolarità partenopea di quegli anni: “Per riunirci prendemmo un sottoscala in via Bonito e, col tempo, i nostri incontri cominciarono ad attivare molti amici. Così ci venne l’idea di arricchirli con performance. L’impegno civile fece il resto. Quelle scenette improvvisate divennero spettacoli di ricerca.
Il primo fu “Oh mio giudice!” sul terrorismo. Dopo scoprimmo che tra il pubblico, spesso, c’erano degli agenti in borghese”. Quello spazio, successivamente, divenne Strabe 4 e poi Bardefè.
Sempre a San Martino, vicino la funicolare di Montesanto, c’era il Teatro degli Stracci, diretto da Umberto Serra.
“Era molto pionieristico. – dice il critico e regista – Avevamo una compagnia più o meno stabile, con la quale abbiamo messo in scena vari lavori, tra i quali “Arcicoso” di Pinget, “L’Orestiade” di Eschilo, “Antonio e Cleopatra” di Shakespeare riletto da Tony Richardson.
Siamo stati i primi in Italia a rappresentare il “Marat-Sade” di Weiss, che ci esentò dal pagamento dei diritti d’autore. Ospitavamo anche amici: i Santella, che misero in scena “Salomé” di Wilde, Peppe Barra, le Nemesiache. Ci siamo divertiti, indubbiamente”.
Altro locale storico fu il Teatro delle Arti, in via Poggio dei Mari. Fino a metà degli anni ’70 fabbrica di scarpe, venne trasformato poi in uno spazio teatrale (capienza 90 spettatori) da due giovani attori destinati ad un grande futuro, Tato Russo e Nello Mascia.
“Ci mettemmo tanta passione – dice quest’ultimo – eravamo sempre laggiù. Soprattutto Tato. Sistemammo noi la moquette rossa che ricopriva tutto, pavimento e pareti.
Il primo spettacolo fu “Cappuccetto blu” da Esopo. Rappresentammo anche Dario Fo, ospitammo persino Benigni, organizzammo rassegne, concorsi di nuova drammaturgia, letture drammatiche”.
Nel 1987 fu rilevato da Cristina Donadio per poi ritornare ad essere di nuovo deposito.
Lo stesso Nello Mascia nell’ottobre 1990 organizzò una stagione in una sala che si affacciava sul cortile del Teatro Cilea che chiamò “Spazio Parola”. Disponeva di una cinquantina di posti ed era riservato a commedie con pochi personaggi, di autori su cui difficilmente avrebbero puntato grosse produzioni.
E come non ricordare il Centro Culturale Giovanile, in via Caldieri? Ora è l’ingresso al deposito di una pizzeria ma da lì sono passati tanti giovani che poi si sono affermati nel mondo dello spettacolo: il regista Paolo Sorrentino, il produttore cinematografico Nicola Giuliano, Mario Violini, oggi direttore del Napoli Film Festival.
“Abbiamo proiettato in anteprima molti film di Wenders e Fassbinder – ci ha detto Violini – La nostra compagnia stabile ha realizzato spettacoli molto belli: opere di Ibsen, Becket, Ionesco, Arrabal.
Erano iniziative che avevano una grande vitalità … altri tempi e altre realtà, oggi incomprensibili ai più”.
Questi luoghi divennero catalizzatori dei nuovi fermenti che c’erano nell’aria. Talvolta ispirati a movimenti stranieri ma anche a proprie esperienze di vita. E non bisogna pensare a questi spazi come luoghi riservati a pochi eletti. Spesso attiravano molto pubblico.
Nel 1979 scriveva Rino Mele su “La voce della Campania”: “Dove invece di spettatori ce n’erano a iosa (sono rimasto in piedi durante l’intera rappresentazione) è il Teatro delle Arti”. Proprio vero … altri tempi e altre realtà!
Nicola Miletti
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