‘A bonafficiata (Il gioco del lotto)
di Mimmo Piscopo pittore
Quale sorta di Bibbia popolare, nel “Libro dei sogni”, venivano collocati premonizioni, divinazioni e segni esoterici per l’atavica ricerca di spiegazioni da dare all’onirico mondo dell’inconscio. Da qui il passo, quando si accorpa tale “Libro” in raccolta di numeri, personaggi, fatti, vicende e quant’altro può la fantasia, in “Smorfia”, dove per smorfia s’intende il ghigno che nel sonno o nei sogni, si accosta alla interpretazione popolare, corrompendo Morfeo – il dio del sonno – in smorfia, appunto, per traduzione, in numeri da giocare, in quanto codificare semplice matematica in un gioco dalle opportune regole. Gioco popolare sin dalla metà del 1500, veniva praticato in Francia, a Genova, Torino, Milano e solo nel 1600 nella città partenopea, quando già in tema di scommesse, giochi d’azzardo e lotterie private, si identificavano in “bonafficiate”, derivazione della voce “beneficiata” – che dispensa fortuna.
Il gioco del Lotto fu legittimato nel ‘700 e nell’800 dai vari governanti, in parvenza di legalità, dove per evitare di tassare ulteriormente la popolazione, gli introiti, abbastanza cospicui, quale celato balzello, veniva adoperato per il realizzo di opere, manufatti pubblici e residenze nobiliari, perfino dal Papato che, mentre condannava il “peccaminoso gioco”, lo stesso Papa assolveva per ragioni di finanza: “Pecunia non olet”.
La credulità del popolo era profonda, grazie alla insistente ed interessata opera di “assistiti”, personaggi eccentrici, surreali e misteriosi, storpi, gobbi ed imbonitori, complici d’impostori in vesti talari, monaci spregiudicati che millantavano proprietà divinatorie nell’aleatoria speranza di un cambio di esistenza grazie a giocate situate e sicure.
La letteratura si è sbizzarrita nell’elencare fatti che implicavano accaduti lieti o cruenti in numerologia cabalistica d’origine araba – “Kabbala” – che contribuiva a sfidare la sorte, anche quello di indebitarsi con malaccorti prestiti dalle impossibili usure. Si esaltava la “bonafficiata” da elevarla perfino agli onori toponomastici in “Vicolo Bonafficiata Vecchia”, luogo deputato detto “Puosto de Bonafficiata” per la estrazione pubblica dei numeri. La cerimonia avveniva prevalentemente ogni sabato quando un bambino del popolo estraeva dall’urna i numeri, assistito da una corte composta da un funzionario prefettizio, un delegato del Sindaco e dallo stesso direttore del Banco Lotto tra la tangibile e trepidante attesa degli astanti. Il risultato del rito raramente proponeva esaltazioni di gioia, mentre la moltitudine imprecava scontenta per la malasorte. Questa effimera illusione di ricchezza ha comunque sempre creato disagi ed impoverimenti dagli esiti spesso tragici in sorta di patologia dal termine “ludopatia”, cioè schiavi del gioco, in tutte le sue accezioni, specie, purtroppo, in tempi odierni per le diverse applicazioni tecnologiche dalle più sofisticate composizioni, come tra l’altro, le cosiddette “slot-machine”, infernali aggeggi causa di rovine di pace familiari e di patrimoni svaniti, grazie pure agli innumerevoli imbonitori televisivi. In similitudini modeste, la ludica “bonafficiata”, viene associata al gioco della tombola, di composizione domestica, dalla rituale e simpatica interpretazione dei numeri estratti dal “panariello”.
Concludendo, quale augurio di porre limiti alla eccessiva sudditanza, si auspica la creazione di alternative dai sani interessi di gioia e non l’effimero o presunto arricchimento come la subdola invasione del “Gratta e Vinci”, più gratta che vinci, invitando pertanto ad un modesto ambo o terno da giocare con leggerezza nell’antico, nostalgico “Banco Lotto”.
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