È di pochi mesi fa l’annuncio della scoperta di un nuovo colore, una sfumatura di blu dal nome impronunciabile (YInMn), da parte di un chimico indiano, in Oregon (Usa). Una scoperta dal valore di numerosi milioni di dollari. Viene così arricchito il pantone, il campionario cromatico a ventaglio. Quel ventaglio che permette di scegliere i colori per l’arredamento di una casa, o per un abito alla moda, piuttosto che il colore di una nuova auto sportiva. Questo colore è una ricchezza come lo sono sempre stati tutti i colori. Senza nessuna distinzione. Tutti utili nella loro unicità e nella loro capacità di mescolarsi per dar vita a nuove tonalità. Spesso il colore viene banalmente utilizzato per individuare una “razza”, rosso, nero, bianco o giallo che sia, e non ci si rende conto di come queste diversità siano una immensa risorsa che deve essere compresa e gestita, anche di fronte a mille difficoltà. Non esistono partiti o idee che possano mettere in discussione quanto conquistato in una lotta per la civiltà durata secoli, se non al di fuori della civiltà stessa.
Come gestire un fenomeno di tali proporzioni dopo i tanti tentativi falliti? Magari si potesse avere una risposta, ma un accenno, una direzione plausibile, arriva proprio da alcuni migranti di buona volontà che cercano di rendersi utili improvvisando lavori, alcune volte improbabili, come pulire una strada, ad esempio via Gemito o Piazza Fuga, o vendere libri nelle spiagge, non solo teli da mare o collane.
Cercano di evidenziare l’individualità di ognuno allontanando l’immagine generalizzata del migrante che diventa manovalanza della malavita o delinquente che, giustamente, deve essere punito, come tutti, per i reati che commette.
Dimostrano di voler provare ad integrarsi laddove la nostra politica, di ieri e di oggi, non ha saputo trovare soluzioni valide.

Giuseppe Porcelli

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