Abbattiamo le barriere
Comprendere le difficoltà degli altri, provare ad aiutarli a superarle, o almeno non contribuire ad aumentarle, sarebbe un modo di vivere civile. Invece, purtroppo, la realtà ci racconta qualcosa di molto diverso. Il quartiere è un percorso ad ostacoli e, se è vero che il resto della città non è certo migliore, non ci si può giustificare con il famoso “mal comune…”.
Abitiamo in un quartiere sommerso da barriere architettoniche, al limite della vivibilità. Un quartiere pieno di ostacoli e trappole, spesso nascoste. Così, basta vedere le difficoltà di un anziano, di una mamma con un bambino, magari con un carrozzino, o di una persona disabile, per rendersi conto di quanto sia assurdo parcheggiare la macchina in un posto riservato o davanti ad una discesa di un marciapiede o trovare strade con più buchi di una gruviera, vera trappola per stampelle o sedie a rotelle, per gambe o per bastoni. Ma anche per chi è nel pieno delle forze. Per non parlare di auto e moto che sfrecciano nelle zone pedonali, ma anche gli stessi pedoni che camminano, magari corrono, senza alzare lo sguardo creando un pericolo. Si arriva addirittura a vere prese in giro come le segnalazioni invisibili dei percorsi per disabili, servoscale non funzionanti, o ancora scalini insormontabili negli uffici bancari, ascensori fuori servizio nelle metropolitane o nelle funicolari. Soluzioni realizzate apposta per agevolare chi può avere una difficoltà che, però, sono completamente inutilizzabili. Inutile rimpallare responsabilità ai proprietari dei negozi inaccessibili, ai pubblici esercizi, alle biblioteche, ai trasporti o alle istituzioni. La responsabilità è di tutti noi. Non si tratta di fare qualunquismo. C’è una gradualità nelle responsabilità e chi dovrebbe garantire la vivibilità ovviamente occupa il primo posto, ma tutti devono iniziare a fare qualcosa. Prima di tutto a rispettare il prossimo.
Giuseppe Porcelli
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