Quando il poliedrico Fanzago si fa napoletano
di Camilla Mazzella laureata in Studi storico-artistici
L’ arte – si è solito dire – non ha confini. Nel senso che l’atto creativo può tranquillamente passare da un’area di applicazione all’altra. Senza per questo cedere sul piano della qualità.
L’esempio, tra i più documentati e convincenti, va ricercato in Cosimo Fanzago, un artista bergamasco che ha trascorso la sua vita a Napoli, cui ha dedicato le varie espressioni della sua vasta ricerca, a partire dalla scultura (matrice di origine) per passare poi alla pittura e alla progettazione architettonica, fino ad una attività imprenditoriale nel settore dei marmi.
Ma proviamo a costruire, sia pure a grandi linee, la sua lunga e laboriosa vita. Cosimo Fanzago, scultore, architetto, decoratore e perfino commerciante è nato a Clusone (Bergamo) nel 1591 ed è morto a Napoli all’età di 87 anni. Principale esponente di una famiglia di artisti, la sua formazione e i suoi studi maturano in Lombardia, ma ha operato soprattutto a Napoli dove – dai primi del Seicento – ha modo di esprimere tutta la sua genialità, specie nel campo della decorazione marmorea policroma e delle sculture, intese come elementi architettonici (pensiamo ai putti e agli angeli che reggono tende e torce), considerati a ragione esempi tipici di arte napoletana lungo tutto il secolo.
La produzione di Fanzago è vastissima. Sono molte le chiese di Napoli dove trionfano le sue opere. Ma non basta. Perché il bergamasco fattosi napoletano ha operato anche come architetto, legando il suo nome a numerose costruzioni.
Un esempio tra i più importanti è dato dalla Certosa di San Martino, dove si può ammirare il grande busto d’argento di San Bruno.
Fanzago, come già Bernini e Borromini, privilegiava le chiese a croce greca rispetto a quelle a impianto latino.
Su suo progetto vennero inoltre edificate varie chiese tra le quali ricordiamo Santa Maria degli Angeli alle Croci, l’Ascensione a Chiaia, San Giorgio Maggiore, Santa Teresa a Chiaia, Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, Santa Maria Egiziaca a Pizzo Falcone, Santa Maria in Portico e San Nicola alla Carità.
Ma l’opera che ne ha consacrato la memoria e reso famoso il suo nome per i napoletani è Palazzo Donn’ Anna a Posillipo, voluto da donna Anna Carafa, consorte del viceré Ramiro Nunez de Guzman e rimasto incompiuto per via della prematura morte della nobildonna.
Il palazzo è lo scenario di una leggenda napoletana narrata da Matilde Serao. Tra le varie guglie va ricordata quella di San Gennaro, la più antica di Napoli.
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