San Gennaro e Napoli: Fede e Scaramanzia
Napoli e San Gennaro, un binomio indissociabile, senza uguali al mondo, tra il santo patrono e il popolo napoletano. Un rapporto sospeso tra fede e superstizione, a metà tra paganesimo e cristianità. Molti gli storici, gli antropologi, i chimici, i biologi molecolari, che ancora sono alla ricerca del mistero della liquefazione del sangue nelle sacre ampolle. Per la Chiesa è un prodigio che si verifica tre volte l’anno. Il primo sabato di maggio, data della traslazione del corpo del santo da Pozzuoli a Napoli, il 19 settembre, data del martirio di San Gennaro avvenuto nel 305 d.c , ed infine, il 16 dicembre, anniversario dell’eruzione del Vesuvio del 1631, quando San Gennaro salvò Napoli da distruzione certa. Se per la Chiesa è un prodigio, nella percezione popolare, lo scioglimento del sangue nelle sacre ampolle è un avvenimento profetico, è l’annuncio di calamità o di serenità, vissuto dal popolo napoletano come una sorta di rassicurazione scaramantica.
Eppure, questo legame unico, indissolubile, nato in quel lontano 17 agosto del 1389, con la liquefazione del sangue durante una solenne processione intrapresa per una grave carestia, si ruppe nel 1799, allorchè San Gennaro, pur avendo fatto “o’ miracolo”, fu ripudiato come patrono di Napoli e sostituito da Sant’Antonio di Padova.
Nel 1799 imperversava a Napoli la rivoluzione napoletana, appoggiata dai francesi, i quali avendo invaso il territorio napoletano e cacciato Ferdinando IV di Napoli, proclamarono il 23 gennaio del 1799 la Repubblica Napoletana. In concomitanza con quel fatidico giorno, due eventi straordinari si verificarono a Napoli : il miracolo della liquefazione del sangue di san Gennaro e l’eruzione del Vesuvio. Entrambi gli avvenimenti furono interpretati come segnali divini, segnali di festa, e come scrive lo storico Pietro Colletta : “Il monte Vesuvio alzò placida fiamma come di festa, il quale spettacolo parve al volgo avvertimento celeste ed augurio di felicità”. Il miracolo della liquefazione del sangue, avvenuto fuori data canonica, sembrava essere la testimonianza tangibile dell’approvazione e della benedizione di San Gennaro alla nascente Repubblica Napoletana, anche se il popolo, poco convinto, andava diffondendo la voce che san Gennaro era stato sollecitato dal Generale Jean Étienne Championnet. Il memorialista Carlo De Nicola cosi descrisse l’avvenimento : “Addì 31 gennaio 1799. I fatti fanno sempre più onore al generale Chiampionnet, facendone conoscere gli ottimi sentimenti. La maniera di pensare è savia e religiosa, e bisogna dire che fra le grazie fatteci dal Signore Iddio vi sia quella di aver fatto destinare questo degno soggetto all’impresa di Napoli. Mi si dice che domenica nel Tesoro fu veduto piangere alla liquefazione del sangue di s. Gennaro, che domandò se la testa del Santo avesse collana, gli fu risposto che sí, ma se l’aveva portata il Re. Egli mostrò inorridire, fece dono al Santo di un’altra collana e di un ricco anello”.
L’arcivescovo Zurlo fu indotto ad esporre un pubblico avviso che dichiarava ai cittadini che la Repubblica era protetta dalla “divina provvidenza “.
I Repubblicani si auguravano che tali eccezionali avvenimenti avrebbero portato consenso al nuovo ordine Repubblicano e convinti i migliaia di lazzari che ancora si opponevano con le armi alla Repubblica, ostinati a difendere la Monarchia di Ferdinando IV.
Il popolo napoletano, poco partecipe agli ideali rivoluzionari, sperava nel ritorno a Napoli del Re. Infatti, a fine aprile, iniziava il conto alla rovescia della breve Repubblica Napoletana. Bande di sanfedisti, guidate dal cardinale Vincenzo Ruffo, erano partite dalla Sicilia e stavano risalendo la penisola, man mano che attraversavano Calabria, Puglia e Basilicata, si ingrossavano di contadini, pastori e sfaccendati
In un momento di così grave incertezza per le sorti di Napoli, sia i Repubblicani che il popolo napoletano si ritrovarono il 4 maggio del 1799, primo sabato del mese, a pregare il santo Patrono, ma questa volta con sentimenti e speranze differenti. Alexandre Dumas ci racconta che: “le pie donne”, in prima fila, non pregavano, ma ammutolite aspettavano dal santo un segnale antifrancese ”. In un clima di fervida attesa, il santo Patrono, ancora una volta, rinnovò il miracolo soccorrendo la Repubblica Napoletana. Eleonora de Fonseca Pimentel, sul “Monitore” del 9 maggio del 1799, così descrisse l’evento: “Dieci minuti non passano e l’umore appare liquefatto dentro l’ampolla, sorpresa, stupore, poi slancio alla gioia. Pure san Gennaro si è fatto giacobino! Ecco il commento del popolo. Ma può il popolo napoletano non essere quello che è san Gennaro? Dunque… Viva la Repubblica!”.
Il popolo napoletano, indignato per il tradimento subito, accusò san Gennaro di essere un “giacobino”: « Vattenne santo Jennaro puorco, pure tu si giacubbino, pu! Pu! Nun te vulimmo guardà cchiù ‘nfaccia”, per cui fu detronizzato quale patrono di Napoli e sostituito da Sant’Antonio, almeno durante i sanguinosi eventi che si sarebbero susseguiti. La Repubblica Napoletana, nonostante il sostegno divino, durò davvero poco, le truppe borboniche sanfediste, proprio il 13 giugno del 1799, festività di sant’Antonio di Padova, entrarono in Napoli. A memoria di questo evento storico, si conservano documenti, disegni e dipinti dell’epoca, in cui si vede sant’Antonio che rincorre e scaccia san Gennaro con un bastone. D’altronde, nel dialetto napoletano, “fare un Sant’Antonio” significa tuttora dare battaglia oppure propinare a qualcuno delle grandiose legnate.
di Ersilia Di Palo
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