Il muro finanziere contro il commercio clandestino
Il quartiere del Vomero, anticamente, era attraversato da una lunga cinta muraria voluta da re Ferdinando per permettere un più efficace controllo per la tassazione delle merci in entrata nella Capitale. Nasceva nel 1820 così il Muro Finanziere, dal costo totale di 300.0000 ducati, il cui scopo dichiarato era quello di annientare il commercio clandestino. Realizzato con pietre di tufo napoletano, il muro è alto mediamente poco più di tre metri e largo alla base circa mezzo metro. A intervallare il muro, a opera ultimata, tredici Edifici Daziari e ben trentacinque postazioni di guardia. Il muro ridisegna piano piano quindi la mappa della città, attraverso l’allargamento dei confini della Capitale, al cui interno vengono ora ricomprese ampie aree, come Capodimonte, lo Scudillo, e parte del Vomero, dell’Arenella e di Posillipo, prima di allora fuori dai tradizionali circuiti amministrativi. Dal punto di vista del controllo fiscale, invece, il muro risulta assai meno efficace di quanto non lo fosse nelle intenzioni iniziali. Invano non riesce a contrastare il contrabbando, e i problemi derivanti dai traffici illeciti continuano a riproporsi per tutta l’epoca borbonica. Con l’avvento del nuovo secolo il Finanziere inizia a scricchiolare. Se da una parte il Presidente Nitti riconosce nella barriera doganale che separa Napoli dalla corona di spine dei paesi limitrofi il più grande contrasto allo sviluppo industriale, dall’altra si afferma velocemente una nuova concezione urbana fatta di strade larghe, ampi spazi e grandi assi viari di collegamento. Il muro, insomma, sembra aver fatto ormai il suo tempo. La spallata finale arriva con l’avvento del Fascismo: un decreto firmato da Mussolini abolisce definitivamente le cinte daziarie in Italia, mentre la città prova a proiettarsi nell’era moderna attraverso una stagione di imponenti opere pubbliche.
Arriva il Fascismo e quindi la retorica nazionalista persegue il sogno delle metropoli italiane e, nell’ambito del progetto della Grande Napoli,il Duce dispone l’ampliamento del territorio per fare in modo che la città superi il milione di abitanti. Chiaiano, Secondigliano, San Pietro a Patierno, Soccavo, Pianura, Barra, San Giovanni a Teduccio, Ponticelli cessano di essere comuni autonomi e diventano, di fatto, quartieri cittadini. Il loro assemblamento sancisce definitivamente il superamento dei confini territoriali tracciati dal Finanziere, rimasti invariati per circa un secolo, e disegna la città così come la conosciamo oggi. Restano ancora oggi tracce ben visibili, sparse un po’ dappertutto. Percorrendo via Jannelli, all’altezza del civico 121, è ancora possibile vedere il posto di Sgambati, una delle trentacinque postazioni di guardia, oggi in completo stato di abbandono (la parte esterna). Ampie porzioni di muro sono invece riscontrabili in diverse zone, ormai completamente mimetizzate nell’arredo urbano: il Vomero ne conserva un tratto a via E.A. Mario, così come i Colli Aminei, dove il Finanziere continua a correre nei pressi della metropolitana collinare, lungo via Saverio Gatto o verso Posillipo con l’arco di Torre Cervati. La più viva testimonianza, tuttavia, la riscontriamo ad Antignano, nella zona del mercato ortofrutticolo. Un fabbricato a due archi domina senza troppe pretese lo slargo. Oggi ospita una paninoteca ed una tabaccheria. E’ il posto di Casapuntellata. Sulle sue mura, divorata dal tempo e dall’incuria e mortificata dall’indifferenza dei passanti, resiste ancora una lapide, con l’iscrizione: Qui si paga per gli regj censali.
Francesco Li Volti
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