Cifariello: solo la luce dell’arte per la sua vita sofferta
Le opere degli artisti diventano più intriganti, se associate a particolari vicende umane. E’ il caso dello scultore Filippo Cifariello, nato a Molfetta nel 1864 e vissuto a Napoli, dove si è formato alla scuola di Achille D’Orsi. La sua vita ha un che di romanzesco, di cinematografico. Si racconta che una sera, all’uscita dallo studio dopo una giornata di lavoro (forse non proprio felice), fu avvicinato da un nobiluomo napoletano, il quale, dopo averlo salutato con molta simpatia, ebbe l’infelice idea di aggiungere: “Sa, Maestro, anch’io mi diverto a fare scultura”. Al che Cifariello, infuriato, lo prese per il collo gridando “ io col mio mestiere soffro come una bestia e tu dici che ti diverti”. Insomma dovettero dividerli. E non è questo il solo episodio. Si pensi al matrimonio con una sciantosa dai costumi piuttosto disinvolti. La donna fu uccisa, e dell’omicidio venne a lungo accusato Cifariello, anche se poi fu assolto. A 50 anni si risposò con una ventenne che, al ritorno dal viaggio di nozze, morì avvolta dalle fiamme. La donna, per fortuna, fece in tempo a discolpare il marito, dichiarando che era stata vittima di un incidente domestico. Cifariello, affetto da grave depressione, morì suicida nel 1936. Purtroppo il destino quanto mai avverso colpì anche il figlio Antonio, affermato attore cinematografico, che morì in un incidente aereo. La strada dedicata allo scultore Cifariello nasconde, tra l’altro, un piccolo gioiello architettonico. Del tutto imprevedibile (e direi poco conosciuto) visto l’umiltà della stradina che collega via Bernini con via Solimena. Perché, qui, nel punto centrale del vecchio Vomero, si leva un convento francescano del 600, con annessa una chiesa, non molto grande, nota come la “Piccola Pompei”. La facciata della chiesa può ingannare. Perché si è portati a credere che sia di marmi policromi mentre è completamente decorata con la tecnica del finto marmo. Oggi l’opera rappresenta nel suo genere una rarità al punto da essere considerata una vera e propria opera d’arte. Intanto va detto che Filippo Cifariello è entrato a far parte dei grandi della scultura napoletana, al pari di Rega, Gemito, D’Orsi, Angelini. Le sue opere, sempre di un forte realismo, non mancano di coinvolgere lo spettatore. Sono tanti gli esempi di questa sua forza rappresentativa, dovuta alla sicura conoscenza dell’anatomia accoppiata a una felice lettura della psicologia del personaggio. Si veda in proposito il busto di Caruso. Già l’impostazione dell’opera è imponente, come a richiamare anche dall’aspetto la grandezza del famoso tenore. Quest’opera potrebbe stare tranquillamente tra i più celebri busti dell’arte romana. Anche la statua in bronzo della “Vittoria” che sovrasta il Monumento ai Caduti di Teano. È un esempio di come il progetto di una scultura dev’essere strettamente legato (e direi in armonia) con l’ambiente destinato ad accoglierlo. Di qui quel senso di perfezione e di equilibrio che suscita in chi l’ammira. Lo stesso discorso vale per il famoso Monumento Equestre a Umberto I che si leva superbo nel cuore di Bari. E altrettanto dicasi per il busto dell’economista Salvatore Cognetti e per quello del politico Araldo di Crollalanza. Si tratta di opere che hanno in comune non solo una lunga e sofferta ricerca, ma quella carica di realismo indagato in ogni suo dettaglio per accrescere la forza di suggestione dell’opera.
Camilla Mazzella
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