Infatuazione di un amore giovanile
Personalmente, Dora Scialo, l’ho conosciuta come autrice di versi alquanto dignitosi. Scriveva principalmente in vernacolo. Più volte ha partecipato al premio letterario internazionale “Emily Dickinson” da me fondato e presieduto oggi alla 21ª edizione. A presentarmi Dora fu la professoressa Ada Sibilio Murolo, un intellettuale napoletana che, attraverso le pagine dei giornali o nei suoi accattivanti interventi, nei salotti del tempo, stimolava la vita culturale della città, costituendo, poi, ella stessa un modello da imitare e da seguire, non solo, per le sue efficaci capacità di aggregazione, ma anche per quelle di sensibilità e di umanità. Ma quelli erano gli anni ‘80,’90. Era l’epoca in cui pur tra numerosi conflitti letterari, tra gare per risultare il migliore e accedere così alla soglia del Parnaso, l’alito culturale si diffondeva con forza e i proseliti leggevano testi su testi approfondendo ed elaborando scritti di sorprendente spessore. Oggi tutto è mutato e l’esilità della produzione letteraria non è più una macroscopica invenzione: è una realtà. Or bene, quella sera in cui Ada mi presentò Dora Scialò, mi sorprese, perché mi chiese di leggere, quando ne avessi avuto il tempo, qualche composizione della novella poetessa. In seguito, lo feci. L’occasione mi fu data nel corso di un evento culturale da me promosso, come spesso accadeva nella saletta Guida di via Merliani, dove il dottor Geppino ospitandomi, manifestava tutta la sua approvazione per il mio infaticabile operato. Fu allora che Dora si fece avanti, con aria discreta, di certo non timida, un po’ esitante si, rispettosa. Notai subito il suo sorriso a carosello che le alleggeriva i tratti del viso grazioso e curato e il suo abbigliamento. I colori che indossava erano giovanili e, le pieghe dell’abito lasciavano intravedere appena il corpo minuto e femminile. In lei vi era l’indice di una ricercatezza, di un’armonia che ella vagheggiava senza ritenerla irraggiungibile. Anche in quella occasione, tuttavia, ricordo che il marito era al suo fianco, tenero, protettivo. Anni dopo, con la dipartita del marito, la signora Dora che sino ad allora si era dedicata ad un solo genere letterario, quello poetico, decise di mettersi alla prova con il romanzo. Forse auspicava qualche risultato in più. Me lo comunicò in un mattino di sole. Giunse a casa mia trafelata. Ora abitava a Pozzuoli, che non è certo ad un tiro di schioppo da me. Aveva il sole negli occhi, quando la vidi, mentre un vigore nuovo sembrava essersi impossessato di lei, nel vento profumato di quella leggiadra ed incipiente primavera. Certo, mi aprì il suo cuore e mi disse di amare i momenti creativi. Inoltre mi fece rilevare, in modo non riduttivo, che le sue poesie piacevano, pur essendo ella un’autodidatta. Erano, a suo giudizio, fresche, come polla di acqua sorgiva tra rocce assolate. Ella non ambiva ad emulare Salvatore di Giacomo, non aveva pretese, il suo era il canto libero del cuore, pregno di genuina verità. Ed ecco il manoscritto e, per davvero, tra le mani dell’editore. Esso narra una vicenda vera, ambientato a Napoli negli anni ‘60, quando l’alito delle novità, del progresso pur pervenendo in questa città di mare non la travolgeva. La protagonista è una giovane fanciulla, che ha dovuto interrompere gli studi per validi motivi familiari. Sarà proprio questa rinuncia forzata al grande sogno di cultura, che le impedirà di essere pienamente soddisfatta. Difatti quando incontrerà un affascinante giovane medico, il problema irrisolto ritornerà alla ribalta, non permettendole di dare ascolto alla voce dell’amore. Riuscirà, non senza sofferenza, a tenere a bada le emozioni ed è da qui che si presenterà l’inatteso risvolto antropologico di questo breve romanzo. La città di Napoli, pur avendo conquistato nuovi spazi, anche economici, evidenziava, nel dopoguerra, retaggi medioevali. Non era più sgretolata martoriata miserrima eppure non concepiva il matrimonio tra due giovani di diversa cultura e di differenti condizioni economiche. Esistevano forti le sperequazioni sociali ed ognuno aveva un ruolo ben determinato, sin dalla nascita, ed a nulla serviva ribellarsi. L’autrice presenta un affresco della società del passato che andrebbe conosciuto per non ricadere in quegli stessi riprovevoli errori.
Carmela Politi Cenere
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